THE PRIDE

pride

di Alexi Kaye Campbell

traduzione di Monica Capuano
regia Luca Zingaretti
con Luca Zingaretti
Valeria Milillo
Maurizio Lombardi
Alex Cendron
scene André Benaim
costumi Chiara Ferrantini
musiche Arturo Annecchino
luci Pasquale Mari
produzione Zocotoco srl
Roma, Teatro Argentina, 24 novembre 2015

Maricla Boggio

Sembrava di essere a Londra, ieri sera, quando al teatro Argentina si stava rappresentando “The pride” di Alexi Kaye Campbell. Sia per il testo che per la recitazione, puntuale sulle parole ad esprimere concetti, sia per un pubblico attento e interessato al senso di un’operazione che si stava offrendo dal palcoscenico.
Il tema che al centro ha l’omosessualità è stato più volte trattato in teatro, ma qui si ha un approccio che diremmo più legato a un’indagine sull’esistenza di ognuno di noi, sia che si tratti di scelte omosessuali, sia eterosessuali, e indipendentemente dall’appartenenza, per una riflessione che coinvolga tutti in quanto esseri umani alla ricerca di una propria ragione di esistere.
Rappresentato e premiato a Londra, il testo di questo cinquantenne attore e autore americano svolge da noi quella funzione di indagine sulla società contemporanea che in Italia non si verifica tranne che per denunce o difese radicali, forse perché una drammaturgia contemporanea si fa difficilmente strada in un teatro dove si possa davvero metterla in scena degnamente.
Ieri sera questo è avvenuto, merito di Antonio Calbi, direttore dell’Argentina, che ha suggerito il testo a Luca Zingaretti, che vi si è tuffato con entusiasmo firmandone anche la regia.
Strutturato su due piani temporali, “The pride” sviluppa, con tre personaggi essenziali talvolta coadiuvati da un quarto, una tematica analoga in epoche differenti.
Dal 1958, anno di una delle tranches, all’attuale 2015 che si incentra sull’oggi, si può davvero parlare di epoche distanti anni luce: la prima, ancora condizionata da una sorta di demonizzazione dell’omosessualità, nel tentativo di ignorarla o di considerarla una malattia di tipo psichiatrico, da curare con modalità estreme, la seconda in una sorta di bonomia in cui si celano tuttaiva difficoltà esistenziali. A ritmi alterni si sviluppa quindi il discorso drammaturgico, mostrandoci dapprima una coppia di tranquilli borghesi, Oliver in affari per vendite di case, Silvia ex attrice che cerca nel disegno una ragione per allontanare la solitudine di madre mancata; i due ricevono una sera, per una cena, Philip, un giovane scrittore di racconti per bambini il cui ultimo libro sarà illustrato da Silvia. Nella seconda scena siamo nel 2015: Philip, dichiaratamente omosessuale, si è gettato per disperazione – è stato piantato dall’amico, dopo che questi lo ha scoperto in superficiali avventure – a farsi torturare da un tizio che ha fatto travestire da nazista. L’amico ritorna e lo trova in questa imbarazzante situazione, quindi lo abbandona di nuovo. Ma che cosa impedisce ai due di continuare una loro storia che dura da tempo? L’irrefrenabile voglia del ragazzo di gettarsi con altri in rapporti di sesso dietro cui non c’è nessun legame amoroso: è questo che l’altro non gli perdona, nonostante l’intervento di una Silvia quanto mai comprensiva e affettuosa nei confronti dello sciagurato Philip.
Si torna al 1958, e in un dialogo insonne nella notte successiva all’incontro con il romanziere Philip, fra marito e moglie si cerca di indagare che cosa sia avvenuto in quell’incontro all’apparenza finalizzato a festeggiare la riuscita del libro in comune. A poco a poco l’indagine mette a nudo, in Oliver, la sua tendenza omosessuale, che si ostina a non ammettere con Silvia, che è guidata da un’intuizione che non ha il coraggio di palesarsi.
Si va avanti così, con scene alternate, procedendo nell’esistenza di questi tre personaggi dai nomi analoghi, che ci fanno partecipi di due epoche distanti fra loro, la prima caratterizzata da un’intolleranza che a quel tempo ha fatto parecchie vittime, la seconda addirittura disponibile a una omosessualità quasi vissuta senza problemi profondi, con una straordinaria capacità di aiuto e di comprensione da parte dell’amica Silvia, al punto da rinunciare – quasi – a una propria vita privata per sostenere le ansie dei suoi amici omo. Nella due donne delle rispettive epoche il tema della maternità, vagheggiata e rinunciata o accantonata, è centrale, mentre per gli uomini il tema è un interrogarsi su di sé e sulle proprie tendenze sessuali, non senza dar posto a un sentimento al di là delle personali pulsioni nell’ambito di reali affettività. Di grande effetto la scena del 1958 in cui Oliver, ormai deciso a troncare ogni rapporto omosessuale, si sottopone a un intervento di tipo psichiatrico, che presenta tutte le caratteristiche della tortura e del razzismo: ricordiamo che Alan Turing, il famoso inventore del computer, si suicidò per non sottoporsi a tali trattamenti, e molti allora furono i casi di autentica intolleranza.
C’è un finale consolatorio, in cui i due dell’epoca attuale si riappacificano tramite l’intervento della materna Silvia, mentre di sfondo appare la Silvia della coppia antica che auspica che ognuno trovi per sé un modo più positivo – e facile?- di vivere la propria personalità.
Interessante e coraggioso, il testo indugia un po’ in eccesso in alcune scene, dove qualche taglio avrebbe tolto il sospetto di un qualche compiacimento. Ma gli attori sono davvero bravi, a cominciare da Zingaretti che ha affrontato con granitica capacità di contenimento la sua complessa del suo personaggio di borghese semplice dentro cui si agita un demone. Maurizio Lombardi è quanto mai espressivo nelle sue esternazioni omosessuali, con misura e un tocco di charme in un personaggio che avrebbe potuto rischiare un eccesso di caratterizzazione e che si sdoppia invece egregiamente fra il non detto della prima epoca – l’interpretazione più difficile – e l’esternazione della seconda. Valeria Milillo si alterna fra la tenerezza timida della moglie antica e l’irruenza sbarazzina dell’amica del ragazzo omosessuale, mutando toni e aspetto.In più ruoli Alex Gendron  con adeguate caratterizzazioni. Una serata felicemente vivace, un’apertura a un teatro di parola oltre che di tematiche importanti.

 

 

 

LA LUPA

la lupa a lina sastri giuseppe zeno

di Giovanni Verga
adattamento Micaela Miano
regia Guglielmo Ferro
con
Lina Sastri
Giuseppe Zeno, Clelia Piscitello, Enzo Gambino, Eleonora Tiberia, Simone Vaio, Giorgio Musumeci, Valeria Panepinto, Giulia Fiume
arrangiamenti musicali Franco Battiato
musiche Massimiliano Pace
scene e costumi Françoise Raybaud
coreografia Giovanna Velardi
Compagnia Molière ABC produzioni
Roma, Teatro Quirino, 18 novembre 2015

Maricla Boggio
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LA BOTTEGA DEL CAFFE

01  _62851_copyright 2014

 

di Carlo Goldoni

regia di Maurizio Scaparro

con Pino Micol

Vittorio Viviani, Manuele Morgese, Ruben Rigillo, Carla Ferraro,

Maria Angela Robustelli, Ezio Budini, Giulia Rupi, Alessandro Scaretti

musiche di Nicola Piovani

eseguite dalla violinista Lisa Green

scene e costumi di Lorenzo Cutùli,

luci di Maurizio Fabretti
Foto Filippo Manzini

Produzione Fondazione Teatro della Toscana

Roma, Teatro Argentina, 10 novembre 2015

 

Maricla Boggio

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IL GIARDINO DEI CILIEGI

GIArdino Claudio Di Plama e Gaia Aprea GIARDINO 5

di Anton Cechov

traduzione di Gianni Garrera
adattamento e regia Luca De Fusco

con

Gaia Aprea, Ljuba

Paolo Cresta , Jasa

Claudio Di Palma, Lopachin

Serena Marziale, Dunjasa

Alessandra Pacifico Griffini, Anja

Giacinto Palmarini, Trofimov

Alfonso Postiglione, Piscik

Federica Sandrini, Varja

Gabriele Saurio, Epichodov

Sabrina Scuccimarra, Sarlotta

Paolo Serra, Gaev

Enzo Turrin, Firs

 

scene Maurizio Balò

costumi Maurizio Millenotti

luci Gigi Saccomanni

coreografie Noa Wertheim

musiche originali Ran Bagno

 

Coproduzione Teatro Stabile di Napoli, Teatro Stabile di Verona

Napoli, Teatro Mercadante, 8-9 giugno 2014

Napoli Teatro Festival Italia

Roma, 3 novembre 2015

 

Visto oggi, a distanza di più di un anno dal suo debutto, lo spettacolo firmato da Luca De Fusco si è mantenuto intatto nelle sue caratteristiche di memoria rivisitata, forse più compatto e intenso nella recitazione, in cui Gaia Aprea dimostra una maturità acquisita anche attraverso altre due esperienze cecoviane, che sempre con De Fusco ha portato nella sua carriera, cioè “Zio Vanja” e “Tre sorelle”. Lo spettacolo, molto applaudito, conferma l’importanza di  regiei che offrano testi forti, mantenuti nella loro interezza.

Maricla Boggio
“Il giardino dei ciliegi” è un approdo a cui si arriva dopo aver vissuto.
E’ un ricordo di esistenza  sofferta, in cui ognuno di noi si immedesima, a diversi livelli.
Nel mettere in scena il “Giardino”, Luca De Fusco ha attinto a questa dimensione accostandosi con fedeltà al testo cecoviano e immettendovi una sua sensibilità a certi elementi ricorrenti nel testo.

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