A TESTA SUTTA

di Luana Rondinelli
con Giovanni Carta
regia di Giovanni Carta
musiche Massimiliano Pace
Accura Teatro
Teatro del Fontanone, 22 luglio 2015

Maricla Boggio

E’ sorprendente trovare in un attore che si è formato all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, il cui aspetto e la cui voce appartengono ad un tipo di delicata educazione classica, una forza dirompente ed esplosiva, sia nelle tonalità vocali che nella gestualità violenta e robusta. Segno che Giovanni Carta possiede quel dono raro che è tipico dell’attore di razza, che non si limita a sfruttare le proprie doti naturali, ma crea con gli elementi della sua corporalità e vocalità gli strumenti per realizzare ciò che si è prefisso espressivamente.
“A testa sutta” è quindi il risultato di questa capacità espressiva, che dà voce e vita a un personaggio immaginato, figlio della terra d’origine di Giovanni, una Palermo caotica e violenta, nella quale vive un ragazzo diverso dagli altri, biondo e con gli occhi azzurri; ma tali connotazioni visive sono metafora al carattere, alla personalità diversa da quella dei cugini, neri, robusti, violenti. Giovanni è l’altra faccia di una realtà spietata nella quale con la sua dolcezza un po’ arretrata intellettualmente sopravvive attraverso la difesa di un cugino che lo sostiene difendendolo dai rischi continui di un’esistenza attraversata dal crimine. Questo mondo complesso e difficile da vivere viene attraversato da Giovanni che ne scansa per così dire le difficoltà vivendo ogni momento della sua esistenza in una sorta di felice, esagitata, entusiastica voglia di vivere.
Il testo di Luana Rondinelli mette a totale prova le potenzialità espressive di Giovanni Carta, che da solo in scena, con il solo supporto di una sorta di cassapanca nera – una cassa da morto? un vecchio baule? – sciorina gli episodi della sua esistenza passando da espressioni di gioia a momenti di intensa drammaticità, a calate di un linguaggio popolare che a noi che poco capiamo di questo dialetto strettisssimo si chiariscono attraverso il gesto, l’ammiccamento, il dialogo costruito con se stesso.
Tanta disperata vitalità, che talvolta ci fa intravedere un ragazzo pasoliniano, si spegne poi con un colpo di pistola, che il protagonista si tira con quell’arma avuta per gioco.
Difficile capire fino in fondo, specie per via della lingua, foneticamente suggestiva ma spesso misteriosa nei significati, il racconto complessivo. Ma la prova d’attore rimane,
insieme a quella di Luana Rondinelli che ha saputo dar voce ai fantasmi del personaggio.