AFGHANISTAN

AFGHANISTAN _ secondo parte _ foto di Laila Pozzo.02

di Lee Blessing, David Greig, Ron Hutchinson, Stephen Jeffreys, Joy Wilkinson, Richard Bean, Ben Ockrent, Simon Stephens, Colin Teevan, Naomi Wallace

traduzione Lucio De Capitani

regia Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani

con dieci attori

scene e costumi Carlo Sala

video Francesco Frongia

luci Nando Frigerio

suono Giuseppe Marzoli

Produzione Teatro dell’Elfo, Emilia Romagna Teatro Fondazione

in collaborazione con Napoli Teatro Festival, con il sostegno di Fondazione Cariplo

Roma, Teatro Argentina, 17 ottobre 2018

Maricla Boggio

Per almeno due ragioni questo spettacolo va tenuto in considerazione.

Perché è frutto di una complessa operazione di collaborazioni, a partire dalla scrittura scenica.

Perché ha affrontato un tema che tocca tutti quanti noi, non fermandosi a situazioni relative a un paese “altro” rispetto all’Italia, magari anche di particolare interesse, ma avulso da possibilità di intervento da parte nostra se non di documento interessante: come dire, non toccando nostri scandali tutto si può dire, ma parlare di situazioni italiane, difficilmente si trova il coraggio e la volontà di farlo.

Qui l’Afghanistan è terra che riguarda tutti quanti noi, per la sua storia intrecciata con paesi europei e poi anche di altri continenti, ma pur sempre con implicazioni di carattere economico, sociale, politico, che ci coinvolgono.

Questa lunga storia di scontri, di guerre, di coinvolgimenti in cui dalla metà dell’Ottocento fino ai giorni nostri si sono alternate varie potenze, viene raccontata da tredici autori inglesi, che si sono succeduti nel dar vita a questa complessa vicenda di prevaricazioni, interessi, ricatti, e soprattutto guerre sanguinose.

Una sorta di solidarietà è stata messa in atto fra tredici diversi modi di raccontare drammaturgicamente questa lunga serie di momenti storici, in cui il lato pubblico, ufficiale, si intreccia al privato, agli episodi in cui emerge il carattere di un personaggio, una riflessione morale, un afflato di libertà anelata e difficilmente raggiunta, sia dia parte degli afghani, che da parte dei paesi i cui eserciti si sono battuti per questioni sempre di interesse. Sono proprio questi due filoni a creare una possibilità teatrale all’interno di una vasta mappa storica, dando all’elemento documentaristico una forza di sentimenti e all’elemento esistenziale privato uno spessore di importanza globale.

Difficile raccontare qualcuna di queste storie, che vedono inglesi illusi del loro potere bellico trascinarsi in illusorie speranze di vittoria, mentre suonano con la disperazione della sconfitta le loro trombe da combattimento; o prendere parte alle sofisticate divagazioni fra il rappresentante inglese e il khan del momento circa i confini fra il paese e l’India; o incastrare la vicenda umana del principe che avrebbe voluto portare un afflato di libertà al suo paese mentre deve invece abbandonarlo per non esserne ucciso, e finirà i suoi giorni in Europa, con una lunga puntata a Roma. Innumerevoli storie si dipanano nel corso di un secolo e mezzo, vedendo avvicendarsi popoli stranieri in amicizia o come nemici nei confronti degli afghani, dai russi combattuti dagli afghani e forniti di armi americane, fino al ribaltamento della situazione nel contrasto con l’America e le ultime tragedie a cui abbiamo assistito.

Assai diversi fra di loro, i tredici autori inglesi danno vita a una gamma di possibilità espressive assai diversificate. Un più sintetica essenzialità, almeno in qualcuno di questi “quadri” ,avrebbe potuto giovare a tener dietro alla complessità della storia. Tuttavia gli attori si sono prodigati quasi per scommessa a immedesimarsi nelle varie parti, in un ambiente scenografico che nella libera spazialità della scena quasi vuota si illuminava di preziose tessiture di tappeto orientale gettate in sovrimpressione sulle pareti, a suggerire come tutti quanti gli avvenimenti si susseguissero in un clima di immaginazione rimembrante.

Dei tredici attori vogliamo ricordare per particolare intensità Hossein Taheri, Enzo Curcurù – entrambi formatisi all’Accademia Nazionali d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” – e le intense figure femminili a cui ha dato vita Emilia Scarpati Fanetti.

Tenere solidamente in mano tutto questo panorama è stato il compito fervidamente realizzato dei due registi, da tempo insieme in tanti spettacoli, Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani.