ANELANTE

Copia di ANELANTE REZZA-MASTRELLA FOTO UFFICIALE

di Flavia Mastrella Antonio Rezza
con Antonio Rezza
e Ivan bellavista, Manolo Muoi, Chiara A. Perrini, Enzo Di Norscia
(mai) scritto da Antonio Rezza
habitat di Flavia Mastrella
assistente alla creazione Massimo Camilli
disegno luci Mattia Vigo
organizzazione Stefania Saltarelli
macchinista Andrea Zanarini
9 dicembre 2015
Roma, Teatro Vascello – Sala Giancarlo Nanni

Maricla Boggio

Un’ondata di giovani e anziani di ogni età ed estrazione sociale si riversa nell’ampia sala del Teatro Vascello per lo spettacolo di Antonio Rezza, che insieme alla compagna Flavia Mastrella firma quest’ultimo spettacolo – “Anelante” – come per i precedenti, numerosi, che nel corso di più di un decennio hanno prodotto i due, sempre uniti nelle invenzioni spaziali, verbali e gestuali, secondo una formula quanto mai singolare, unica nel panorama della scena italiana.
Il segno delle creazioni di questo “duo” sta nell’estrema libertà che essi adottano nello sviluppare un spettacolo. Difficile definire in che genere il loro teatro si possa classificare: la classifica è estranea al loro modo di operare, che si forma seguendo un estro bizzarro, insofferente a un percorso tranne che per piccoli tratti interni, attraverso cui un’esibizione ha un suo spazio-temporale, per poi essere accantonata per un altro estroso pseudo-ragionamento, percorsi di una mente a lampi, a cui si accompagna con analoghe gestualità il corpo reso flessibile fino a parere un burattino impazzito. Ma è poi il volto di Rezza a dare singolarità alle sue composizioni: da distrofico e allucinato, in una frenesia di contorsioni fino al più segreto muscolo, quel volto si blocca in un’immagine che pare quella di Marceau quando esegue il famoso numero delle Maschere. E dopo un silenzio eloquente, a seguire uno sproposito debordante di frasi, singulti, parole mormorate in una inventività da grammelot, allora Rezza interroga il pubblico con qualche domanda eloquente, a contraddire quanto detto. Sono tempi magici, dove suono e silenzio si fanno musica, ed è proprio il silenzio, in quel grande ammucchiarsi di parole a diventare valore.
La prima parte, sui grandi matematici, da Rezza presi in giro con le loro argomentazioni rese bislacche dall’impegno di dimostrarle, gessetto in mano, scritte a terra in un gran rigirarsi sul pavimento nell’affanno di scrivere, confrontare, verificare, è quello che accattiva il pubblico tenendolo poi incatenato per i successivi “quadri”. Quello sul G20, che poi si trasforma in G19, o 18 e così via, fino a G5, è una creazione da capogiro per l’intervento dei cinque collaboratori di Rezza, che sottomessi al suo imperante comando si alternano entrando e uscendo dalle “finestre” di quell’originale e misterioso patchwork ideato dalla scultrice sua compagna, Flavia Mastrella, obbedendo ad orologeria al ritmo frenetico di quell’avvicendarsi di “G” dai vari numeri, satira petroliniana di simili eventi politici.
Altro tema messo sul tavolo dall’inesauribile Rezza è quello relativo a Freud e al rapporto edipico con il padre. In un romanesco apposta usato per ironizzare sulla cifra filosofico-psicanalitica del discorso, Freud è paragonato a un pranzo pesante seguito da incubi notturni, dove il famoso personaggio dà spunto a fluviali ragionamenti su padre, papà, mamma, nonno, zio e quant’altri coinvolti in un inquietante serie di rapporti incestuosi.
Per finire dove proprio più non c’erano altre possibilità, Rezza si trova in fondo al mare, dove la sua inesauribile urgenza di parlare non si arresta nello sprofondare bollicoso delle acque, mentre i suoi compagni gli fanno corona in vesti di colorate attinie, seppie e stelle marine.
Ascoltare e vedere Rezza porta a una totale disponibilità a lasciarsi trascinare dal suo sproloquiante divagare. Non a caso ci ha ricordato, come si è detto, Petrolini, ma anche il muto Marceau.