ARANCIA MECCANICA

ELISEO_TE-MASTER-Manifesti-cartoline-fronte-18091514 copia(1)di Anthony Burgess

con Daniele Russo, Sebastiano Gavasso,

Alessio Piazza, Alfredo Angelici, Martina Galletta,

Paola Sambo, Bruno Tramice

regia Gabriele Russo

musiche Morgan

scen Roberto Crea

costumi Chiara Aversano

disegno luci Salvatore Palladino

Roma, Teatro Eliseo, 26 aprile 2016

Produzione Teatro Bellini/Fondazione Teatro di Napoli

 

 

Maricla Boggio

Dal famoso romanzo “Arancia meccanica” scritto da Anthony Burgess nel 1962  Stanley Kubrick aveva tratto la sceneggiatura per il film che nel 1971 si impose all’attenzione del mondo intero.

Per lo spettacolo in scena al teatro Eliseo, il regista Gabriele Russo si è servito della trasposizione teatrale – del ’90, per la Royal Shakespeare Company – del romanzo originale, realizzata dallo stesso autore.

Qui ciò che accade è come filtrato dal pensiero del protagonista, che attraverso una sorta di lavaggio del cervello impostogli dalle autorità governative che lo hanno condannato a 14 anni di carcere per gli atti delittuosi da lui compiuti, rivive gli episodi di violenza perpetrati insieme ai suoi compagni – due “drudi” a lui devoti quanto traditori – essendo stato portato per un esperimento psichiatrico a una condizione di passività comportamentale. La pena inflittagli, sostitutiva del carcere, è appunto questo lavaggio del cervello, una sorta di “lobotomizzazione mentale”, ovvero di condizionamenti psicofisici che lo costringono a sentire sensazioni di vomito ogni volta che gli si presenti un tentativo di comportamento violento o di libidine. Il personaggio, prima malvagio secondo una sua scelta, è diventato un essere innocuo, ma al tempo stesso mancante di libertà di decisione, una specie di “arancia meccanica” che risponde meccanicamente alle sollecitazioni esterne, non avendo più la capacità di agire secondo coscienza.

Ciò che emerge dal discorso di Burgess, ancora valido oggi nonostante i decenni passati e i cambiamenti epocali intercorsi, è un confronto fra la violenza individuale e quella dello Stato. Se la violenza personale è da combattere, essendo frutto di scelte sbagliate spesso dettate da precedenti violenze avvenute sul soggetto – e qui emerge dal contesto un suggerimento a una situazione familiare squilibrata -, un intervento statuale finalizzato a reprimere la violenza individuale con mezzi costrittivi anziché attraverso interventi di recupero educativo appare ancora più distruttivo e non porta ad altro che alla disintegrazione dell’individuo.

Con un notevole dispiegamento di mezzi tecnici lo spettacolo sviluppa questo discorso anche “sociale”, utilizzando un linguaggio che si prefigge di trasporre gli idiomi cifrati di bande giovanili londinesi, come aveva fatto Burgess, in una sorta di “patois” spesso purtroppo talmente criptico da risultare di difficile comprensione allo spettatore, a cui rimane di intuire che sotto quel linguaggio si rivela la volontà escludente di una gioventù serrata in se stessa.

Le musiche sono fondamentali in questo panorama di violenze esemplificate: sonorità che Morgan elabora partendo dai classici – Rossini e soprattutto Beethoven – facendone l’elemento che da ispiratore di sentimenti positivi ed esaltanti si fa sollecitatrice di godimento negativo, fino al tormento.

Gli attori si lanciano con il massimo trasporto nei ruoli del perfido trio capeggiato dall’Alex di Daniele Russo, che da dannato diabolico si trasforma in patetico innocuo; sarà allora lo scrittore, uno delle sue vittime, a infierire su di lui con una ancor più feroce vendetta, finché recuperato al “sistema” il giovane non tornerà “normale”, perfettamente allineato a collaborare.

Non sappiamo quanto il tema della violenza personale in confronto a quella statuale abbia davvero validità condividibile, rischiando di attribuire allo Stato più responsabilità di quelle che ha rispetto alla personale coscienza. Non per niente sono passati decenni rispetto a tale tesi, e la volontà collettiva ha preso spazio ricacciando indietro l’anonimato della repressione. Si voleva forse suggerire in questa violenza verso il singolo le torture che oggi vengono inflitte da Stati dittatoriali e ideologicamente portatori di violenza. Ma le vittime di oggi sono davvero portatrici di valori positivi, non succubi lobotomizzati.

E’ da elogiare l’impegno assai forte degli interpreti, che non risparmiano azioni acrobatiche, pericolosi corpo a corpo e distorsioni vocali per la dimostrazione della tesi del testo, in una entusiastica partecipazione ad essa.