Bazin

di Giancarlo Sepe

con Pino Tufillaro

e

Giuseppe Arezzi Marco Celli Margherita Di Rauso

David Gallarello Claudia Gambino Francesca Palucchi

Federica Stefanelli Guido Targelli

Teatro della Comunità

Maricla Boggio

È sorprendente che dal buio di un palcoscenico vuoto, nel silenzio assoluto che avvolge la platea dopo i consueti rumori prima dell’inizio dello spettacolo, di scatto emerga la gioiosa presenza di otto figure danzanti che cantano a squarciagola accompagnando la presenza autorevole di André Bazin qui impersonato a tutto tondo da Pino Tufillaro. Perché la figura del famoso critico cinematografico

scomparso appena quarantenne qui viene rievocata nell’ultimo suo giorno di vita, in un accesso di interpretazione mimesica al ricordo delle pellicole che influirono sulla sua vita e diedero il segno ai giovani innamorati del cinema, trasformandoli nell’indicazione che offriva loro Bazin in critici attenti e più ancora in registi. 

Clair, Renoir, Carné vengono rievocati nelle loro caratteristiche delle pellicole girate. Le sue teorie le spiega in quei “Cahiers du cinema” da lui fondati. Un principio assoluto riguarda il montaggio, odiato da Bazin che lo sostituisce con stacchi precisi partendo da un totale che contiene l’intera visione. Il campo lungo è la sua passione, di là parte per il suo linguaggio.

Tutto questo emerge a tratti, convulsamente, nell’interpretazione di Pino Tufillaro in un’ansia del dire 

che si affanna per non trascurare niente di quel mondo amato che si ripresenta a tratti fra una canzone e una scena, con un ritmo veloce e intenso dove quattro attori e quattro attrici, simbolicamente investiti ciascuno di un ruolo impersonano il mondo degli anni che precedono gli anni cinquanta periodo in cui malato Bazin finirà per spegnersi. Ma nel suo affannoso ricordare, in quell’attimo di vita dove tutto è possibile, appaiono le scene che più ha amato di quei film grandiosi ricchi di avventure. Nobili signori e amanti sensuali, tradimenti incrociati e figure avventurose di aviatori si presentano alla memoria. Ma anche piccole storie dove l’amore si trasforma in odio e porta all’uccisione dell’amata. Ogni episodio è scandito dal rapido emergere del gruppo che canta spensieratamente come se nulla fosse. E le musiche si alternano fra quelle languide di Kurt Weill e quelle delle canzonette. In preda all’ansia del dire

Tufillaro si rotola posseduto dai ricordi, mentre la moglie – Margherita di Rauso – lo soccorre e lo custodisce amorevolmente, silenziosa compagna che condivide la sua passione per il cinema. 

Più che un’affermazione di amore per il cinema il modo  di esprimersi di Bazin-Tufillaro diventa un delirio, una passione di vita che arriva alla morte. L’attore perde sembianze umane e vola, si dissolve nell’aria fino a cadere nella morte. E se Pino tufillaro ha superato se stesso in questa interpretazione, gli attori che lo coadiuvano sono fedeli alla regia di Giancarlo Sepe, alla sua precisione che non è mai meccanica, al suo alternare il canto alle scene che crea il tessuto del racconto sostenendo la prova di Pino, ardua ed entusiasta.