COCO CHANEL

Il profumo del mistero

scritto e diretto da Massimo Roberto Beato

allestimento scenico e costumi Jacopo Bezzi

con

Nicoletta La Terra, Giovanni Carta, Marco Usai

la Compagnia dei Masnadieri e l’Istituto Italiano della Moda

Roma, Teatro Stanze Segrete,

dal 4 febbraio al 2 marzo

Maricla Boggio

Con un garbo che ricorda certi scritti di Colette nella malizia ingenua e nel clima parigino dei primi decenni del Novecento, Massimo Roberto Beato ha scritto e poi diretto “Coco Chanel – il profumo del mistero”. Il famoso “n°. 5” diventa così il simbolo di una vicenda che svapora in innumerevoli momenti di vita, i cui accadimenti paiono provenire da un destino – analogamente misterioso – che accompagna la famosa creatrice di una moda che ha caratterizzato per quasi un secolo gli abiti delle donne eleganti, con alterne vicende continuando anche oggi a influenzare un certo tipo di abbigliamento chic tendente allo sportivo, mantenendo intatta la fama della sua “griffe” ormai passata a eredi e consigli d’amministrazione internazionali.

Astuta operazione quella di Beato, che avvolge davvero di mistero l’esistenza della famosa donna – Nicoletta La Terra la impersona con adesione fisica e caratteriale di gran classe – che non voleva essere chiamata “sarta” e si sentiva artista, ritagliando i suoi abiti, alcune volte anche richiesti da eccentrici spettacoli teatrali, accanto a Picasso e a Strawinskij. La storia-favola si snoda scorrendo i decenni disseminati da amanti e amici, confidenti e sostenitori, mentre le cresce accanto un giovinetto figlio di una sorella defunta molto amata, al quale la gran donna, ovviamente sola perché artista indipendente, offre appoggio e affetto.

I tanti personaggi che si succedono nel corso di un mezzo secolo, prodigando devozione, consigli, amore passionale, affetto e quant’altro Chanel chiede a ciascuno, sono tutti interpretati, in una girandola che funziona come un perfetto meccanismo, da Giovanni Carta, che si vale della sua forte esperienza attorale per distinguere con adeguati atteggiamenti espressivi e vocali i vari dialoganti con la complessa seduzione della affascinante Coco, fino a impersonarne il padre tanto amato e presto lontano, che viene da lei ritrovato nel momento della morte. E forse quegli innumerevoli uomini che hanno segnato la sua vita senza mai fermarsi con lei non sono stati altro che un desiderio paterno soltanto all’ultimo appagato.

Nella costruzione biografico-storica emergono due personaggi rispetto al rapido passaggio degli altri. Ancora  affidato a Giovanni Carta, è il generale tedesco Spazz con cui la bella Coco non esita a compromettersi per salvare la vita al nipote preso prigioniero, comportamento generoso sì ma che rimarrà come una macchia indelebile sulla sua persona, a cui la Francia farà pagare il prezzo di essersi data al nemico.

L’altra figura che Beato, pur traendola dalla biografia della Chanel, fa diventare più compiutamente personaggio con uno spessore che denota una maturazione della scrittura drammaturgica,  è quella del nipote, diventato nel testo una sorta di figura protetta a sua volta protettiva della zia, il cui compito nello svolgimento dei fatti si allarga a dare consistenza ai vari momenti privati e storici attraversati dalla protagonista: una bella prova del giovane Marco Usai, che sostiene anche con limpidezza un monologo in cui si interroga sul fatto di essere stato risparmiato dalla violenza nazista per un privilegio agli altri non concesso. In questo modo Beato supera la semplice narrazione e insinua nella vicenda una dimensione morale.

Nell’angusto spazio di “Stanze segrete” tanto caro agli autori italiani portatori di idee ardite, Jacopo Bezzi ha ricavato una sorta di accurata “suite” arredata fin nei minimi particolari al punto da far sentire gli spettatori come degli ospiti di un’invidiabile salotto e atelier parigini. Le musiche di Lorenzo Troiani aiutano a immergersi indietro nel tempo, e i costumi davvero “chaneliani” firmati da Agata Di Giannantonio, arricchiscono una serata davvero speciale.