COLPO BASSO

di Gianni Clementi

con Ennio Coltorti, jesus Emiliano Coltorti, Germano Gentile

scene Fabiana Di marco

Csotumi Logos

Foto Tommaso Le Pera

regia Ennio Coltorti

Nuova Compagnia di prosa

Teatro de’ Servi, Roma, eqoo’11 al 30 marzo 2014

Maricla Boggio

Un testo di Gianni Clementi rappresenta sempre una sorpresa piacevole, perché dietro a un inizio dall’apparenza prevedibile si nasconde un colpo di scena – qui chiamato “colpo basso” trattandosi di un ambiente pugilistico in cui si verifica – che mette in risalto una storia carica di significati, di umanità sofferenti e poi riscattate – quasi sempre – nel finale, in una sorta di catartica rappresentazione, di legge del contrappasso nella dimensione positiva.

La storia qui si presenta semplice. Un anziano pugile in disarmo, dal passato glorioso di cui ancora si parla fra gli esperti, ha aperto una palestra in cui addestra neofiti per incontri di basso livello; sta lavorando su di un immigrato clandestino che batte un poco la fiacca, ma resiste perché non ha altro posto dove andare.

Un mattino capita in palestra un giovane smilzo, educato, colto, tutto il contrario di un aspirante pugile: il ragazzo vuole essere allenato, inutili i reiterati dinieghi del “maestro” che ne capisce l’inadeguatezza. Quell’altro insiste fino a farsi accettare, a suon di soldoni che promette e subito esibisce allo stupito ex pugile. Un complicato e ingegnoso intreccio di situazioni – un malore del pugile, la perdita del portafoglio del ragazzo mentre trasportano l’infermo all’ospedale, il ritrovamento del portafoglio da parte del guarito che vuol sapere a tutti i costi chi è veramente quel giovane che vive di rendita e si intestardisce a sottoporsi a un allenamento per una professione che non sarà mai in grado di fare, ecc. ecc. -, tutti questi elementi, architettati dalla mente frenetica di Clementi, a cui l’apporto di Ennio Coltorti  sul piano della resa spettacolare, con dialoghi serrati in un bel dialetto di periferia intrecciato a un perfetto italiano pariolino e colpi di scena a sorpresa come fuochi d’artificio, fanno sì che si approdi a un finale rivelatore degno delle antiche agnizioni latine: il ragazzo è figlio del pugile, che in una notte di abbandono si è unito alla graziosa commessa del bar antica compagna di giochi ed è partito la mattina seguente per l’America, affranto per una match andato a finire malamente per una sua accettazione di sostenerlo truccato – doveva perdere -, se ne è poi pentito, ma troppo tardi, niente vittoria quindi ma neanche il compenso pattuito per la perdita. La povera abbandonata ha poi sposato un altro ragazzo del quartiere, studioso quanto mai al punto da diventare, adulto, un facoltoso banchiere. Ecco dunque svelato l’arcano primario della ricchezza del giovane, il quale a sua volta rivela la parte mancante dell’ingegnoso puzzle: in una notte segnata dal destino il banchiere scopre un diario della moglie, attraverso cui apprende che quel figlio cresciuto amorosamente non è suo, bensì del pugile. Banchiere e consorte muoiono poco dopo – dolore, rimorso?, insomma, lasciano il ragazzo con le sue rendite, alla ricerca di un motivo per vivere. Ed ecco apparire il pugile, inconsapevole padre. Dopo un lungo monologo rivelatore – che Jesus Emiliano Cortorti sostiene con impeccabile bravura -, anche l’anziano pugile – Ennio Coltorti che qui offre delle sue multiformi capacità interpretative la gamma del romanesco duro di cuore ma sotto sotto  tenero e disposto al sentimento -, si profila un finale sorridente. La palestra si intitola al grande pugile di un tempo, che la gestirà insieme al figlio, il quale rivela un innato senso degli affari, mentre il mancato pugile extra comunitario – Germano Gentile, che non esita ad autoironizzarsi nel ruolo dello sperduto ragazzo di colore inesperto di italiano – trova anche lui la sua nicchia esistenziale, lavorando nella palestra, non più come aspirante lottatore, ma come manager a latere. Di nuovo Clementi ha conquistato il pubblico attraverso la mozione dei sentimenti, e lo ha fatto con una storia originale, quasi una favola di periferia.