COME TE

applausi come teIMG_2391

di Maria Letizia Compatangelo

regia Donatella Brocco

con

Gianna Paola Scaffidi

e Marina Magoni, Igor Mattei

Roma 29 marzo 2016

 

Maricla Boggio

Con uno stile sicuro, che percorre i meandri dei comportamenti umani di una certa classe altoborghese, Maria Letizia Compatangelo  sviluppa con intuizioni drammaturgiche e capacità di sintesi la storia di una donna in carriera, il cui successo paga a caro prezzo attraverso una malattia fortunosamente guarita ma con il sacrificio di una maternità, e la perdita dell’uomo con cui ha condiviso decenni di vita e due figli ormai grandi.

Storie privata e pubblica si intrecciano avendo come luogo quell’ufficio dal quale passa l’esistenza della dirigente, ancora bella e, dopo le batoste, tornata combattiva e vincente nonostante le ferite infertile dalla vita. Ed è in questo luogo-incrocio ideale di affari e di segreti esistenziali che, con perfetta unità di tempo e di azione a completare la classica trilogia, si vanno accumulando le vicende ancora sconosciute per la protagonista, che Gianna Paola Scaffidi interpreta con acuta sensibilità e prontezza di mutamenti nella complessa interpretazione del suo personaggio, ambivalente nell’apparenza di cordialità e bonomia e poi di irrefrenabile impulso a rivelarsi vendicativa.

E’ la giovane russo-rumena, presentatasi per un posto di traduttrice segretaria, a portare il cambiamento del destino. Da qualunque ragazza povera alla ricerca di un lavoro quale si presenta, emergerà il vero scopo che l’ha portata lì. Marina Magoni imprime al suo personaggio le inflessioni di una autentica rumena disperata dandole forti accenti di verità. Il giovane figlio in carriera della dirigente smaschererà la ragazza in un momento in cui la madre si è assentata, ma sarà la stessa giovane a rivelare alla credula signora che l’ha subito accettata al suo fianco di essere la madre di una bimba avuta dall’ex marito di lei. Spetta a Igor Mattei, in brevi scene, il compito di dare completezza al suo personaggio di futuro dirigente ma anche “piacioso” ragazzo di famiglia affezionato e geloso di mammà.

Da questo punto, ben tenuto nella stretta dei sentimenti, fra ira, delusione, rimpianto e innumerevoli altre sfumature dei sentimenti che animano la dirigente, prima risentita per essere caduta in quello che lei ritiene un tranello, poi via via ragionando e intenerendosi per quella bambina che potrebbe sostituire nel suo affetto quella che lei non ha potuto avere, la vicenda oscilla fra una prevedibilità consolatoria e una previsione tristemente velata dalla morte: perché la giovane rumena è affetta da un male incurabile e ben presto – dice lei stessa – si toglierà di mezzo fra la dirigente e quel marito che l’ha abbandonata per lei ma che è pronto a tornare all’ovile. A poco valgono le profferte generose della donna in carriera ad offrirle il suo amico oncologo che la curerà, dal momento che i mezzi e le conoscenze possono quasi tutto. La giovane rumena sarà “una parentesi” nell’esistenza di quei ricchi anche tentati dalla bontà. E per il momento, con soddisfazione del figlio che telefona al momento opportuno per sentirsi dire che va tutto bene e la mamma sta per andare a prendere un gelato con la giovane rumena e con la suo figlioletta che l’attende nel parco sottostante, le morti e le guarigioni rimangono sospese in un futuro opinabile: prendiamoci un momento di pausa e sorridiamo alla speranza del futuro radioso.

E’ in questo finale che l’unghiata dura della Compatangelo, mascherata sotto l’apparenza consolatoria, in scena poteva essere più avvertita, mettendo in risalto un giudizio morale su questo mondo di successi, di danaro  e di amicizie. Rimane allo spettatore di ragionarvi e di trarne una sua conclusione.

Moltissimi gli applausi e i consensi di un pubblico attento e partecipe.