EDIPUS

EDIPUS RIDOTTA IMG_2191

di Giovanni Testori

con Eugenio Allegri

adattamento di Leo Muscato

scene e costumi Barbara Bessi

Produzione Pierfrancesco Pisani, Nidodiragno,

Offrome in collaborazione con Infinito SRL

 

Maricla Boggio

“Ambleto”, “Macbetto”, “Edipus” sono i tre testi che negli anni Settanta Giovanni Testori dedicò a un teatro di rivisitazione dai classici, immersi in una società contemporanea, degradata e sperduta, che una compagnia di infimi teatranti mette in scena in paesi contadini, dove basta uno spazio di piazza e una tenda dietro cui ammucchiare costumi e oggetti per dar vita allo spettacolo. “Scarrozzanti” li chiama Testori, cioè scavalcamontagne che ancora pochi decenni fa percorrevano le terre più povere del nostro paese, portandovi quel teatro in cui credevano, rappresentandolo secondo una loro mentalità,  aliena dalla grandezza tragica del mito, e incline invece a ritrovare, in quelle vicende di assassini ed incesti, una loro dimensione umana, frustrata nell’esistenza squallida eppur sognatrice di un riscatto attraverso la rappresentazione, nella possibilità di vivere una vita diversa dalla propria immiserita dalle disavventure esistenziali.

Celebri edizioni di tutti e tre si sono fatte nel corso dei decenni, sull’onda della novità di questo teatro testoriano, innovatore sul piano linguistico e soprattutto eversore del mito e anche di una certa considerazione dei comportamenti, qui portati all’estremo di una immoralità soltanto giustificata dall’ingenuità ignorante del protagonista colto nell’esternazione di un pensiero che si fa parola senza alcun condizionamento. Fra gli interpreti che più suscitarono l’interesse non solo del pubblico, ma anche degli studiosi della psiche e dei filosofi ricordiamo Franco Parenti stridulo ed  esaltato nel farsi delirante interprete, e Sandro Lombardi, più asciutto e intellettuale nella sua follia lucida, teorematica. E non è forse un caso che questa edizione attuale sia stata realizzata sotto l’egida del Teatro Franco Parenti di Milano, che dal grande attore  prende il nome.

Testori aveva già toccato il teatro, prima di questi “Scarrozzanti”, ma lo aveva fatto in una sorta di indagine moralistico-politica di certi ambienti operai della periferia milanese, e fece scalpore “L’Arialda” che la censura nel 1960 bloccò nonostante la regia di Luchino Visconti. Il regista con gli interpreti Rina Morelli, Paolo Stoppa e Umberto Orsini cercarono di superare l’ostacolo rivolgendosi al presidente Gronchi, che però rifiutò di riceverli, e solo nel 1961 la rappresentazione poté aver luogo .

Testori riversa qui tutta la sua volontà di ribaltare il mito. Non più quindi l’oscurità della colpa, in Edipo, ma la consapevolezza di quanto dovrà accadere come già accaduto: uccisione del padre, incesto con la madre, castrazione del padre per mano del figlio e così via, in quella confusione degli accadimenti che il povero “scarrozzante”, rimasto solo nella sua compagnia di guitti perché gli altri via via lo hanno abbandonato, getta fuori da sé in un continuo immedesimarsi in questo o in quel personaggio, tutti quanti a discendere da quel sommo potere che sa di imperatore e di papa che pare tutto governare dispoticamente. Nel passaggio dall’uno all’altro dei protagonisti del mito, lo “scarrozzante” racconta la sua vicenda misera, di abbandonato, tradito, sfruttato, e la sua esistenza è un tutt’uno con quella dei personaggi da lui evocati che sono anche i suoi compagni di vita. Così la madre, un tempo interpretata  dall’attrice sua compagna che lo ha lasciato per un volgare commerciante di mobili, viene trattata da puttana, e subirà l’incesto del figlio come punizione del tradimento; quel rapporto fra lo scarrozzante e il simulacro-pelliccia del personaggio si fa vitale e vendicativo al punto da diventare vera copula da parte dell’umiliato “scarrozzante”.

In questa pièce di Testori vien meno quello che Lacan chiama “il soggetto scisso”, cioè colui che non è consapevole di quanto avviene, e andrà conoscendolo via via che si svolge la storia. Qui tutto è già conosciuto,  tutto è già avvenuto e si ripete consapevolmente in scena.

Di sapore fortemente degradato, il testo ha momenti di poesia quando questo Edipus, risentito nella sua attualità esistenziale, si getta a raccontare come, abbandonato bambino nella foresta, affamato, impaurito e con i piedi trafitti, viene soccorso dalle fiere che lo nutrono, lo scaldano e lo proteggono amorevolmente; trovato poi da un pastore verrà sottratto alle cure degli animali, ed è questo il rimpianto che pervade il povero Edipus, riportato nel mondo crudele e corrotto degli uomini.

Eugenio Allegri interpreta il testo con dolcezze naives e agili gestualità in quel linguaggio reinventato di una Lombardia arcaica tipica dell’autore, che suggerisce temperie evocative liberando la vicenda della sua dimensione realistica, e si moltiplica con ironia da clown nei molteplici personaggi della vicenda, in un borbottante dialogo con il pubblico.