EDUCAZIONE SIBERIANA

di Nicolai Lilin e Giuseppe Miale di Mauro
da un’idea di Francesco Di Leva e Adriano Pantaleo
con
Luigi Diberti
e
Elsa Bossi, ivan Castiglione, Francesco Di Leva, Giuseppe Gaudino, Stefano Meglio, Adriano Pantaleo, Andrea Vellotti
regia di Giuseppe Miale di Mauro
scene Carmine Guarino
luci Luigi Biondi
musiche Francesco Forni
costumi Giovanna Napolitano
cura del movimento Roberto Aldorasi
Fondazione del Teatro Stabile di Torino/TeatroMetastasio Stabile della Toscana/Emilia Romagna Teatro Fondazione in collaborazione con nestT (Napoli est Teatro)
Lo spettacolo è tratto da Educazione siberiana di Nicolai Lilin, Giulio Einaudi DEitore, prima edizione Supercoralli 2009.
28 gennaio-16 febbraio 2014, Piccolo Eliseo, Roma
Maricla Boggio

Lo spettacolo che Giuseppe Miale di Mauro ha realizzato ha una storia avventurosa e assai simpatica. Perché nasce dall’entusiasmo di due attori – Francesco Di Leva e Adriano Pantaleo – per il romanzo di un giovane scrittore – Nicolai Lilin – che ha vissuto in prima persona il clima di persecuzione che gruppi di dissidenti dal regime russo hanno vissuto nel corso di alcuni decenni a partire dagli anni Trenta fino ad oggi, e che, pubblicato in Italia da Einaudi, è stato anche realizzato da Gabriele Salvatores in film.
L’iter della rappresentazione è tuttavia diversa da una semplice trasposizione, a quanto ci racconta il regista insieme a Luigi Diberti, che dello spettacolo è protagonista superbo, calato nel personaggio del vecchio saggio che guida, almeno per un certo tratto delle loro esistenze, dei giovani purtroppo poi travolti dagli eventi. Il percorso che si delinea attraverso le scene del dramma mette in evidenza una serie complessa di situazioni tragiche, dalle persecuzioni staliniane a dei gruppi di ribelli alla dittatura, fino alla graduale corruzione che si impadronisce anche di questi rappresentanti pressoché eroici di resistenza, che si adeguano alle lusinghe del consumismo fino a gestire il giro della droga in una escalation che comprende il traffico di armi e l’intero universo affaristico internazionale. Nella vicenda limitata a frange sovietiche confinate in una sperduta lingua di terra siberiana si adombra per metafora il clima di corruzione che appartiene anche a noi, sia pure non ancora portato a parossismi estremi, come nel testo portato in scena, dove l’assassinio del fratello è il culmine di una lunga trafila di delitti. Ma ciò che colpisce è – come dicevo – l’entusiasmo con cui questi giovani attori, insieme al loro regista, si sono messi, insieme all’autore del romanzo, a riscriverne, nelle linee essenziali alla spettacolarizzazione, le scene che nell’arco di una rappresentazione offrissero al pubblico la cifra di una situazione al limite dello scandalo coinvolgente il mondo intero. E dal dramma, efficacemente sviluppato, emerge la dimensione morale, una sorta di monito che il volto fortemente espressivo in una dimensione sacrale di Luigi Diberti trasmette al pubblico, avendo come contraltare il giovane figlio destinato al sacrificio, assai ben sostenuto da Adriano Pantaleo. Tutti gli attori sono da elogiare per ‘adesione al contesto, a cominciare da Elsa Bossi – una madre austera e sollecita – che sfoggia un perfetto russo pur essendo italiana, fino alla esibita malvagità dei soldati corrotti e alla pavida debolezza, nel male e nel bene, degli altri due giovani.
Una certe pesantezza della scenografia ricorda spettacoli di decenni fa; ma in questa situazione essa ben si presta a illustrare in alternanza l’interno della casa e l’esterno delle carceri e del potere militare, nella paurosa epopea di questo gruppo travolto da una condizione di consumismo all’estremo con conseguente corruzione, che potrebbe in futuro toccare anche a noi.