FRATELLO CON SORELLA

IMG_9561di Alberto Bassetti

regia di Alessandro Machìa

con Alessandro Averone e Alessandra Fallucchi

scene Maria Alessandra Giurì

costumi Sara Bianchi

luci Paolo Macioci

organizzazione Rossella Compatangelo

Il Carro dell’Orsa in collaborazione con Zercalo

Roma, Teatro dei Conciatori, dal 15 dicembre

Maricla Boggio

E’ con grande piacere che ho assistito alla rappresentazione di “Sorella con fratello” di Alberto Bassetti, perché di questo autore seguo fin dagli inizi – una ventina di anni fa – i suoi testi, fra cui uno che preannunciava una scrittura singolare, profonda, attenta più che alle manifestazioni esteriori della nostra società, che pur considerava, agli aspetti più intimi dell’animo umano, alle segrete modalità con cui emergevano comportamenti inaspettati e decifrabili soltanto con estrema capacità introspettiva, come quel – “Sopra e sotto il ponte” -, che vinse il Premio Fava nel 1995.

E di questa passione per l’incontro con la personalità altrui Bassetti ha fatto mostra anche nell’aprire un teatro “Lospazio” nel quale ha presentato più volte autori italiani contemporanei, mettendo da parte la sua primaria funzione di drammaturgo.

Il tessuto di cui si compone “Sorella con fratello” è di una trama che non si lascia subito decifrare. Pare pudicamente gelosa di mantenere un segreto, manifestandosi soltanto secondo una cifra di apparente allegria, e la regia di Alessandro Machìa si attiene alla scrittura in quel pudore che gli interpreti – Alessandra Fallucchi e Alessandro Averone – sostengono con manifestazioni di simpatica fraternità, di cordiale sollievo da un periodo di tristezza ormai conclusa, di cui ancora non si conosce la ragione, e che viene accettata dagli spettatori come una premessa a quanto dovrà essere rivelato in seguito. Delineando un futuro della sorella immaginato come trionfante,– Lea, dieci anni prima (tanto il periodo oscuro che sta per finire) è stata cantante -, Leo con insistenza affettuosa tende a convincere la ragazza che la aspettano successi “atomici”.

Ma poco per volta, frase dopo frase, sopraggiungono le rivelazioni, che in questo dialogo fra due giovani borghesi del nostro tempo fanno avvertire una preammonizione edipica, il sentore di una tragedia che non può non palesarsi. E quindi, con successivi e cadenzati colpi di scena si viene a sapere che Lea è rimasta per dieci anni reclusa in un luogo sostitutivo della prigione per un delitto preterintezionale, e che adesso vorrebbe gettarsi alle spalle tutto quel terribile passato e vivere in maniera diversa. Al contrario Leo la vorrebbe di nuovo a casa, con lui, sua unica famiglia dopo la morte accidentale della madre – è lei ad essere stata uccisa dalla ragazza, pare -, mentre il padre è anche lui ormai defunto.  Le maglie fitte della duplice  vicenda dei due giovani si allargano a fatica lasciando via via intravedere quello che si nasconde dietro a una apparente possibilità esistenziale in comune. Emerge un rapporto morboso, che è soprattutto Leo ad alimentare, con una sorta di affettuosità disperata e trepida, che in un lungo monologo si rivela attraverso minuti dettagli: lui, più grande della sorella, l’ha sempre seguita, accudita, protetta, fino a provare per lei più che un affetto di fratello un’attrazione erotica insopprimibile; e l’ha anche riportata a una sorta di delicata umanità quando lei tornava a casa di notte, fradicia e fatta, con i segni dei rapporti brutali a cui si assoggettava quasi priva di consapevolezza.

Manca nel preciso tessuto accuratamente creato da Bassetti, una qualche motivazione a tale stato di abbrutimento di Lea, in una famiglia dove il fratello studia alacremente da avvocato, e i genitori immemori dormono tutta la notte senza rendersi conto della vita che la figlia conduce. Ma per convenzione – come si dice – va accettata questa situazione, mentre è di forte presa quella confessione di Leo aa accudire la sorella fino a sentire per lei un’attrazione che si conclude con un rapporto sessuale. Veniamo a sapere che chi davvero ha ucciso la madre lanciandole quasi inconsapevolmente un pesante oggetto contundente non è Lea, ma il fratello, preso da vergogna perché sorpreso dalla donna ancora unito al corpo fremente della sorella. Per calcolo dettato in parte da amore per lei dall’altra per egoismo, Leo ha fatta mostrare Lea colpevole del delitto non voluto, restandole poi accanto per quei dieci anni di detenzione. E’ allora lei a reagire, adesso, in una rinnovata coscienza, e a pretendere da lui l’espiazione per quell’antico delitto, che senza volerlo lui ha dichiarato nel monologo-confessione, e che – lei dice – è stato registrato da una suora al di là delle pareti, messa in attenzione da lei. Come finirà la storia? In disperazione, attesa, pentimento, riunione… Tante possono essere le soluzioni, ma ciò che conta è la forza di una scrittura drammaturgica ben sostenuta dalla regia e dall’interpretazione, a tratti assai difficile nell’equilibrio fra verosimiglianza e metafora dei due bravissimi attori.