IL BERRETTO A SONAGLI

di Luigi Pirandello

adattamento di Francesco Bellomo, Moreno Burattini, Pino Caruso

costumi di Sabrina Chiocchio, scene di Carmelo Giammello

musiche di Mario D’Alessandro, luci di Stefano Pirandello

Compagnia L’isola trovata

Roma, Piccolo Eliseo, ottobre 2013

Maricla Boggio

Dal testo originale di Luigi Pirandello Francesco Bellomo ha ricavato uno spettacolo di curiosa vivezza, lavorandoci assieme a Moreno Burattini e Pino Czaruso e riportando il clima di quell’ambiente di provincia agrigentina agli anni Cinquanta, anziché restare ancorato al 1918 in cui era stato scritto. Qual è la differenza che ne deriva? Prima di tutto una più determinata reazione della moglie tradita a pretendere le sue ragioni. Ancora esisteva il delitto d’onore, ma la dignità della donna nell’ambito della coppia comportava, un trentennio dopo, una più forte affermazione. Anche il personaggio di Ciampa ne ottiene un rilievo per quel suo disperato tentativo di uscire dal grigiore di una professione gregaria a lui estranea, proteso – come lo si intuisce da pochi accenni in qualche battuta – alla vita cittadina foriera di contatti intellettuali e portatrice magari di una sua affermazione in campo giornalistico.  E’ insomma, il suo, il sogno degli intellettuali frustrati del Sud, succubi di una società padronale e non abbastanza fondati nel ribellarsene.

Perché questo Ciampa troppo spesso confinato a misero cornuto da compatire in rappresentazioni a mattatore, qui, nell’interpretazione sommessa di Pino Caruso, assume il senso centrale di un’Italia umiliata – prima di allora e come previsione futura – da gente di potere, ancor più miserabili quanto ai margini del vero potere, eppur dispoticamente adusi a comandare e ad essere serviti e omaggiati dalle autorità ufficiali e pubbliche. E caruso ne fa un’interpretazione esemplare.

In questo “Berretto a sonagli” si intuisce il Brancati che verrà qualche decennio dopo, e si arretra, nel grottesco beffeggiare del potere stesso, al Gecov degli atti unici e al Gogol de Il cappotto e de Il naso.

Il tratto adoperato da Bellomo nella gestione delle scene è quello di un andamento  grottesco contenuto da un realismo epico. Ardito nello scavalcare il linguaggio dell’autore, e forse nella consapevolezza che Eduardo ottenne da Pirandello il permesso di tradurre il testo in napoletano,  si spinge ad espressioni fortemente dialettali. Ma introduce anche scene tratte da situazioni soltanto riferite in qualche battuta, ricavandone una carica di novità di stile cinematografico, pur non potendo usufruire di elementi narrativi, come in altre situazioni pirandelliane quali “Tutto per bene” o “Così è ( se vi pare)”. E’ così che lo stesso Francesco Bellomo appare nella prima scena dello spettacolo, in cui aggiuntivamente si inserisce mostrandoci il fedifrago marito in compagnia dell’amante, moglie di Ciampa, al momento in cui vengono scoperti.

La carica interpretativa degli attori scoppia nell’espressionismo, soprattutto nel commissario di Franco Mirabella che con ritmi ben controllati moltiplica il suo disagio attraverso infiniti fazzoletti a cui ricorre di continuo, a causa del suo coinvolgimento nella “sorpresa” agli amanti voluta dalla signora Fiorica, vendicativa moglie tradita. Anche Anna Malvica, nella parte della signora Assunta madre della signora Fiorica, punta al grottesco di un personaggio esempio di una società borghese dai valori fraintesi. Subito tutti, una volta che Ciampa trova genialmente la soluzione a evitare il massacro dovuto, per causa d’onore, dal marito  che ormai sulla bocca di tutti è becco, cioè la pazzia della moglie denunciante, si adeguano con gioioso sollievo: è un’ulteriore dimostrazione della falsità di una società condannata a sparire, ma tanto ancora ci vorrà, anche oggi, ad emergere da ipocrisie e perbenismi.

Bene tutti, con diverse sfaccettature, che la mano fresca di Francesco Bellomo ha guidato attingendo ad antiche ascendenze siciliane, l’impudenza provocatrice della Saracena di Carmen Di Marzo qui voluta napoletana, aliena e critica di un mondo che non le appartiene che di riflesso – “persona nostra”, dice di lei il commissario -; la supponenza sensuale della signora Fiorica di Emanuela Muni, la flemma da inglese di paese di Alessio Di Clemente, la fierezza devota della Fana di Matilde Piana, l’astuzia rassegnata della Nina, piccola succube amante di Annarita Granatiero: tutti personaggi che ruotano in un vortice pettegolo e tristo, intorno alla triste innocenza del protagonista, il Ciampa di Pino Caruso, esempio consapevole della malvagità umana.