IL CASO BRAIBANTI

di Massimiliano Palmese

regia di Giuseppe Marini

con

Fabio Bussotti e Mauro Conte

musiche dal vivo di Mauro Verrone

produzione Diaghilev

BRAIBANTI FOTO IMG_1292

Roma, Spazio 18b

9 novembre 2017

Maricla Boggio

Con determinazione appassionata e lucida il regista Giuseppe Marini ha riproposto un suo spettacolo cult,“Il caso Braibanti”, nello spazio nuovo ideato da Jacopo Bezzi e Massimo Roberto Beato per realizzare iniziative non ovvie, che sollecitino interessi sul piano dei contenuti a cui accedere attraverso valide scelte estetiche e in particolare teatrali.

Marini aveva rappresentato questo testo, la cui origine parte da uno scritto di Massimiliano Palmese, in una rassegna del “Garofano verde” diretta da Rodolfo Di Giammarco al teatro Belli; l’aveva poi ripreso al teatro dei Conciatori l’anno scorso, per ripresentarlo in questo spazio innovativo, sempre con gli stessi interpreti. Con essi Marini ha trovato un’intesa a quanto intendeva raggiungere, cioè a esporre agli spettatori un “caso” unico nella storia giuridica italiana, la condanna per plagio di un intellettuale accusato di aver condizionato la personalità di un giovane, mantenendo tutta la vicenda nella sua necessità narrativa privata e nel contempo non rinunciando ad esporre, con rigore logico e storico, i momenti processuali in alternanza con le ingerenze pseudoscientifiche di psichiatri, medici, esperti della mente e dello spirito, senza trascurare sacerdoti, autorità politiche e rappresentanti di un mondo autogiudicantesi “perbene”.

Attraverso questa scelta registico-drammaturgica Marini è riuscito a coinvolgere l’interesse del pubblico mantenendolo staccato e giudicante e nel contempo permettendogli di fruire di quel pathos emozionale che consente a una tesi di essere teatro e non cronaca rigida o a facile effetto giornalistico.

La cifra interpretativa raggiunta dai due attori sotto le indicazioni di Marini è il risultato di un forte affiatamento, in un alternarsi dell’uno con l’altro che inizia con una sorta di presentazione rispettiva. Aldo Braibanti – qui interpretato da Fabio Bussotti –  si delinea secondo uno degli elementi caratteriali che lo distinguono, l’amore per la natura, lo studio di quelle formiche apprezzate per la loro laboriosità, il cui specifico metaforico di Formica Azzurra assurgerà a significare la personalità di ciascuno dei due.

Nell’incontro con lui il giovane Giovanni Sanfratello – Mauro Conte  – a poco a poco si affeziona a quello che considera un maestro, liberandosi attraverso il suo acuto dialogare dalle pastoie di una famiglia reazionaria e fobica di stampo piccolo-borghese.

Varie le fasi che i due percorrono, in una solidarietà affettiva e intellettuale che diventa anche attrazione sessuale. Ed è di questa dimensione che i due sono accusati. Mentre il ragazzo Giovanni subirà tormenti fisici e mentali fino ai trattamenti manicomiali di più antica e cruenta tradizione, Braibanti sarà sottoposto a quel processo che molti intellettuali italiani cercheranno di contestare, ma che inesorabilmente si concluderà con una condanna a nove anni.

Intanto però mentalità e costumi cominceranno a mutare, l’antiquato articolo che contempla la possibilità di plagio sarà cancellato, e a gradini faticosamente raggiunti riforme e aperture faranno giungere a un oggi ben diverso da allora.

Giusto riproporre lo spettacolo in un’epoca come quella attuale in cui altre demonizzazioni continuano a insorgere, tante quelle subìte dalle donne attraverso atti fisici e giudizi morali.

Degli attori, Fabio Bussotti e Mario Conte, va detto quanto si siano immersi con discrezione e adesione totale nei personaggi, in forma epica adeguando alle battute la necessità di evocare non solo i due protagonisti ma anche i vari personaggi laterali che intervengono nella vicenda e che quasi con ironica adesione, calcando sulle possibili caratterizzazioni, essi fanno vivere in un attimo in scena, con il solo apporto di una voce immersa nel dialetto o divenuta grave o acuta nei falsetti dei perbenismi e delle professionalità. E la musica del sax dal vivo di Mauro Verrone apporta a momenti di intenso pathos una sonorità distanziante.

Ho conosciuto e frequentato in più occasioni Aldo Braibanti: qui ne ritrovo la mitezza talvolta fino all’umiltà, la dignità scontrosa e gentile, l’amore per le piccole creature con cui riusciva a stabilire un rapporto umanamente sensibile, come con il ragno Giovanni e il bassotto Lado a cui, per legarlo del tutto a sé, aveva dato il suo nome ribaltato.