IL RITORNO DI CASANOVA

LOMBARDI E RAGAZZOIMG_1901

di Arthur Schnitzler

uno spettacolo di Federico Tiezzi

con

Alessandro Lombardi e Alessandro Marini

violoncello Dagmar Bathmann e Alessandro Marini

percussioni

Omar Cecchi e Niccolò Chisci

produzione con Compagnia Lombardi-Tiezzi

in collaborazione con

Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze

Roma, Teatro India, 1 dicembre 2017

Maricla Boggio

Diciamo subito che “Il ritorno di Casanova” si pone come un esempio di spettacolo artisticamente realizzato, sia per la scelta del testo che per  la sua interpretazione, dove la regia di Federico Tiezzi si esprime con perfetta adesione attraverso Sandro Lombardi.

Questo lungo racconto scritto da Arthur Schnitzler nel 1918 sviluppa in terza persona quello che è stato definito “monologo interiore”, una sorta di complesso ragionamento su di sé che l’autore viennese mise in atto più volte nei suoi scritti, sia di tipo narrativo che drammaturgico. E la data in cui venne scritto induce a riflettere sulla situazione critica in cui l’Europa si trovava, alla conclusione di una guerra che aveva lacerato gli animi e cancellato illusioni consolatorie.

Con una virata al monologo interiore in prima persona, Sandro Lombardi si racconta agli spettatori, in un luccicante spazio nero, sul cui sfondo musici in abbigliamento settecentesco animano i momenti in cui l’evocazione provoca un’emozione o una riflessione.

Il nero e l’oro, il cristallo e le sete contribuiscono a creare la dimensione evocativa di questo racconto che si ispira al personaggio storico e lo mantiene nella sua epoca, ma si fa metafora moltiplicata dell’esistenza nei suoi vizi, nei suoi traumi, nel suo pensiero sulla vecchiaia e sulla morte. Ciò che si sottende al racconto riguarda l’oscurità in cui si dibatte l’animo umano, e la gioiosa narrazione di un’avventura si fa base per la sua inenarrabile complessità.

Poche parole per descrivere la storia; infiniti ragionamenti, riflessioni, interrogativi, ipotesi per darne davvero la profondità e il mistero.

Casanova sta tornando a Venezia dopo venticinque anni di esilio, e smania per quel ritorno che gli consentirà di sfuggire a un peregrinare per le corti europee divenuto, da piacevole, faticoso. Ma incontra in viaggio Olivo, un vecchio amico di cui è stato amante della moglie; invitato nella loro casa di campagna, dove è ospite Marcolina, una giovane studiosa di matematica e filosofia, Casanova non resiste alla tentazione di sfidare il suo fascino tentando di  conquistare la ragazza, invano – dicono i suoi ospiti – corteggiata da Lorenzi,  un vivace sottotenente, e dedita soltanto ai libri di scienze. Casanova cerca di interessare Marcolina con i suoi racconti di viaggi e di filosofia – sta scrivendo un saggio contro Voltaire -, ma quella non lo degna che di una distratta attenzione.

Nel racconto lineare della serata si inserisce il gioco, elemento chiave per sondare l’animo umano in uno dei suoi vizi più efferati. Lorenzi – impersonato con baldanza di Alessandro Marini, anche violoncellista – perderà al gioco con Casanova una forte somma prestatagli da Olivo. Casanova offre al giovane di lasciargli i denari in cambio di una notte con Marcolina, che sa essere sua amante. Si intrecciano in questa vicenda apparentemente analoga alle tante storie greche e romane, fino alla “Mandragola” di Machiavelli – pulsioni più complesse, che vanno dal gioco per il rischio e il godimento ad una passionalità avulsa da scelte amorose, tesa a una egoistica verifica del proprio potere, dove la donna è sì motivo di piacere, ma senza alcuna condivisione.

Casanova racconta di questa sua ultima avventura, quasi una scommessa a sentirsi ancora desiderabile da una donna e tuttavia, temendo una sconfitta, celandosi sotto l’imbroglio della sostituzione con l’amante della ragazza.

È di forte effetto il modo di narrare le proprie sensazioni di questo Casanova che diventa un fanciullo, forse addirittura un bambino nell’annullarsi in una verbalità che è fatta di suoni antichi, ricordi di prima infanzia, dialetto,  puri effetti di sonorità, dove alla parola che non è sufficiente  si sostituisce l’invenzione mimica, un non detto che emerge dall’attore e lo rende inventore del testo.

La crudeltà della conclusione sta nel duello che Lorenzi richiede per riscattare il suo onore. Qui la giovinezza cede all’esperienza, e Casanova trafigge il cuore del giovane amante, con la triste soddisfazione di prevalere, pur vecchio ma abile, su di lui.

Il racconto evita ogni considerazione morale, vive della sua perfezione narrativa. Casanova tornerà sì alla sua Venezia ma, pur beffandosi a parole della richiesta del Bragadin di mettere a disposizione le sue capacità di spia nel denunciare i nemici della Serenissima, dovrà poi sottostarvi, finendo così i suoi giorni. Metafora, anche questa, di sogni frustrati; metafora del teatro, che vive pur soffrendo e raccontandosi menzogne.