IMMAGINE SCOMPOSTA

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solisti esecutori

Riccardo Caporossi

Vincenzo Preziosa

collaborazione tecnica

Nuccio Marino

Maricla Boggio

Studio 33, Roma, 6/9 aprile 2017-04-09

In mezzo a quadri che illustrano in silenzio e fissamente un percorso di indagine esistenziale che Riccardo Caporossi esprime in parallelo con la dimensione spettacolare,

si è svolta una rappresentazione che risulta difficile descrivere, perché è affidata a inesprimibili elementi differenti che fusi insieme producono sensazioni intense e raccolte di carattere esistenziale, in una forma tuttavia misteriosa e appunto indescrivibile.

Tuttavia rimane il senso di questa complessa, raccolta e in bilico fra l’umiltà e l’altezza intellettuale, che si svolge in uno studio fotografico pieno di immagini sulle pareti, oltre alle opere di Caporossi, e induce a sentirsi in una situazione di attesa compunta e pressocché intimidita dalla novità del luogo, che non è il teatro ma uno spazio ospite e come tale richiede rispetto.

La musica dà il via al dipanarsi dell’evento. Una musica da camera, suggerisce Caporossi nelle sue scelte morbide, affidate a violoncelli o a piccoli complessi che nella concentrazione del luogo risultano capaci di catturare una concentrazione assoluta, che prelude poi all’attenzione di quanto accadrà, alternandosi più volte quasi a indurre alla riflessione sul visto e sul sentito.

Ci si ritrova davanti alle abili, delicatissime e mute costruzioni che vengono a formarsi attraverso la giustapposizione di piccoli oggetti, spesso riemersi da profondità di case smembrate dall’insorgere del tempo, appartenuti certo ad altri, prima, e adesso pronti a raccontare una loro storia attraverso la voce acuta e ironica di Caporossi che quegli oggetti usa per un suo piano oscillante fra una plasticità bizzarra e una devozione alle cose morte e fatte rivivere.

Da una scatola di cartone nero emerge un cappello, desideroso di ricevere ancora una testa a cui servire. messo da partesi congiungerà con un paio di scarpe, logore e vissute che insieme a lui percorreranno, al comando di Riccardo, un tragitto magicamente mobile, per poi arrestarsi come davanti all’abisso del tragitto finito, mentre altre storie verranno fuori dalla tavola in cui via via si raccontano di un Adamo e di una Eva – ma non “quelli”, altri – che poi precipiteranno in un assassinio miniato, del cui cruento motivo niente mai sapremo. Ma subito altre vicende si affollano sul tavolo delle meraviglie, sempre accompagnate dalla precisa voce di Caporossi. E un’altra voce gli si alterna, quella di Vincenzo Preziosa che in altera giacca di velluto nero, assiso davanti a un ampio leggio racconta di spazi infiniti e immensità pascaliane congiunte al mistero della vita, alla tragicità pirandelliana delle vicende umane, alla loro perversa allegria, insieme a riflessioni bizzarre e illuministiche dello stesso Caporossi.

Il percorso potrebbe proseguire a lungo, fra ottocenteschi libri rilegati in carta fiorentina a reggere pesanti pareti da cui emerge un rosso gomitolo che poi senza impiego di tempo si trasforma in un antico arcolaio, di quelli su cui il filo di lana si svolge sui bracci di legno a comando fino a sparire tutto quanto. E’ il filo di lana l’immagine che suggerisce la compiutezza di quella vita che Caporossi intende spiare, indagando sui perché sconosciuti, fino a mostrare una scatola di cartone, grande e bianca si cui emerge il buco di una serratura di ottone: aperta la scatola, un’altra se ne presenta, identica ma più piccina, e chissà quante altre potrebbero presentarsi, sembra suggerire Caporossi, che a questa seconda simbolicamente si arresta, con un sorriso garbato dicendo agli spettatori che il gioco è finito.  Si torna sulla terra e finalmente anche Caporossi e Preziosa si sciolgono nella confidenza con gli ospiti, arrivando a brindare, come si può fare in una festa fra amici. E’ un senso del teatro che riemerge dall’antico, quando non c’erano gli spaventevoli borderò da Ministero, ma la gioia di un ritrovarsi e divertirsi nel senso più ludico possibile.