LA CENA DELLE BELVE

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di Vahé Katchà

elaborazione drammaturgica Julien Sibre

traduttore e adattatore Vincenzo Cerami

scene Carlo De Marino

coatumi Francesca Brunori

disegno luci Giuseppe Filipponio

direzione tecnica Stefano Orsini

disegni animati e proiezioni

regia associata Julien Sibre e Virginia Acqua

con

Marianella Bargilli Francesco Bonomo Maurizio Donadoni

Ralph Palka Gianluca Ramazzotti

Ruben Rigillo Emanuele Salce Silvia Siravo

Produzione Gianluca Ramazzotti per Ginevra Medium Production

Centro D’Arte Contemporanea Teatro Carcano

in collaborazione con 51° Festival di Borgio Verezzi

Roma, Teatro Quirino 19.2.19

Maricla Boggio

Autore pressoché sconosciuto, nato in Siria e di cultura francese, Vahé Katchà deve aver a lungo meditato sulla sua patria e sulla situazione bellica nel secondo dopoguerra in Francia, focalizzando comportamenti soprattutto di appartenenza a quella borghesia colta e di larghe vedute che viveva la violenza tedesca con una malaccorta volontà di evitarne il peso e l’umiliazione, qualcuno rifugiandosi nelle letture, qualche altro sfruttando il momento al fine di arricchirsi con qualche connivenza, qualche altro – ma pochi – tentando una resistenza poco dispiegata e tardiva.

Morto anni fa e senza la soddisfazione di aver visto in scena la sua commedia feroce amara e tragicomica a un tempo, Katchà è stato riscattato dalla tenacia di Gianluca Ramazzotti che ha tentato ogni strada per rappresentare il suo testo, riservandosene anche una parte cospicua – quella del Dottore – in mezzo agli altri sei del gruppo degli “amici” a cui si aggiunge un singolare personaggio di ufficiale nazista al quale Ralh Palka offre le tradizionali caratteristiche di durezza qui mitigate da una certa cultura che ne emergerà inaspettatamente.

Ramazzotti ha chiesto a Vincenzo Cerami – che ha svolto la sua rielaborazione con cura appassionata, cercando di ritrovare in ambiente italiano quanto descritto da Katchà – di mettere le mani nella commedia prettamente francese, convinto del richiamo che potesse avere al di là di connotazioni realisticamente nazionali, circa il tema centrale dell’opera: l’esame accurato, spietato e psicologicamente realizzato, dei comportamenti dei sette ospiti di una casa borghese in cui si festeggia il compleanno della padrona di casa – una avvenente Marianella Bargilli a cui non mancheranno le sfumature drammatiche – , quando un attentato sulla strada colpisce a segno due soldati tedeschi. Immediata la replica del Commando tedesco, che nella figura di un ufficiale decide la rappresaglia, venti civili innocenti saranno scelti nei vari appartamenti della casa, e ai sette per concessione singolare viene concesso di scegliere i due che dovranno essere sacrificati. Da questa scelta il gioco va da sé, nelle varie sfumature delle vigliaccherie, dei risentimenti, delle scoperte di antiche magagne e di recenti tradimenti; da questo momento in poi non si può che prevedere, o essere sorpresi dalla fantasia dell’autore, circa le motivazioni per cui ognuno rifiuta il proprio sacrificio e sostiene la validità di quello di un altro.

Guida con un flusso travolgente nell’interpretare il suo mascalzone collaborazionista dall’apparenza generosa l’Andrea di Maurizio Donadoni, una sorta di Tino Buazzelli dello Schweick strehleriano, ma di segno negativo. Anche gli altri attori hanno trovato una loro cifra originale ben distinta da quella altrui. La Francesca di Silvia Siravo  tutta impeti e affettuosità da amica di famiglia, rivela poi la sua faccia segreta, ed è quella che più si salva nel contesto degli egoismi e delle meschinità, essendo generosa con l’amico cieco – il Pietro di Francesco Bonomo in bilico fra ironie e risentimenti – e impegnata nella lotta per una resistenza che sembra davvero ben poca cosa rispetto all’indifferenza del gruppo connivente e passivo.  L’intellettuale docente universitario Vincenzo è forse il personaggio, ben realizzato da Emanuele Salce, più consapevole di una tragedia che è quella della vigliaccheria non soltanto del gruppo ma dell’intera nazione. Così come il libraio amante dei libri antichi di Ruben Rigillo, che affida alla cultura la sua mancanza di partecipazione alla situazione attuale.

Testo quindi intrigante e complesso, a cui, nonostante le capacità immedesimative di Vincenzo Cerami nel dare parvenza italiana al testo che parla della Francia, resta un sapore indefinito, in quella gente che non è davvero italiana, e che si trova davanti ad attentati quasi mai accaduti in Italia – tranne quello che portò alla rappresaglia Fosse Ardeatine -, insieme a forti bombardamenti che la nostra capitale subì in precisi momenti, come a San Lorenzo.

Ciò che lo spettatore deve seguire è soprattutto il “gioco” tragico delle meschinità umane, che scavalcano ogni amicizia, amore, altruismo in nome della propria pelle. Il che per fortuna non sempre accade, se ricordiamo i tanti gesti di generosità che produssero martirii e offerte di sostituzioni in casi di condanne.