LA FORTUNA DI NASCERE A NAPOLI

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testo, regia e interpretazione di

di Luigi De Filippo

con Francesca Ciardiello, Fabiana Russo, Vincenzo De Luca

Claudia Balsamo, Giorgio Pinto, Stefania Ventura, Stefania Aluzzi

Paolo Pietrantonio, Massimo Pagani

Compagnia di Teatro di Luigi De Filippo

Teatro Parioli, Roma, 31 marzo 2016

Maricla Boggio

A distanza di più di mezzo secolo rispetto alle commedie di Peppino suo padre, Luigi De Filippo ripropone uno spaccato di esistenza familiare napoletana della piccola-media borghesia, nella sua varietà di tipi e caratteri che si esibiscono in una unicità di tempo, luogo e azione, come nel teatro classico.

Ma ci sono alcune varianti rispetto a quel mondo napoletano di De Filippo padre. Luigi le ha tutte osservate nel mutare dei tempi e le ha trascritte in questa commedia, ironica ma non poi del tutto, a cominciare dal titolo. Intanto tutta questa fortuna di nascere a Napoli viene messa in discussione dal fatto che una famiglia piccolo-borghese  aspetta l’arrivo di un antico compagno di gioventù che Napoli l’ha lasciata per Roma, dove è diventato celebre per essere il regista, in RAI, di una famosa trasmissione popolare.  I personaggi che aspettano questo Sasà, nel quale ripongono le loro speranze per raccomandazioni di vario tipo, ci vengono presentato poco per volta.

Prima la coppia degli ospitanti un pranzo che dovrà festeggiare il celebre amico. Lui scrittorucolo di gialli in attesa di un sospirato consenso della RAI, lei fremente di risentimento nei confronti del marito da lei disistimato. Si aggiungono due loro amici, antichi compagni di teatro amatoriale dell’ormai famoso Sasà: lui ancora attore in piccole parti, lei con il sogno del cinema e qualche minimo riconoscimento da miss di quartiere.  Chi apre però la sequela delle entrate è la figlia della portiera, una vera forza della natura che senza pudori dichiara la sua ben evidente maternità come “la schifezza” che le è stata fatta mesi prima in una discoteca mentre lei era ubriaca e inconsapevole; come un personaggio antico, la ragazza impreca al suo destino ma tiene amorevolmente il figlio di cui, degradata marchesa von‘O –  ignora il padre. Da lei, con sapiente astuzia dell’autore che ben conosce le tecniche del teatro, veniamo a conoscere, prima che si presentino, alcuni inquilini del palazzone, che rivedremo capitare in scena poco per volta.

Ci sono ancora altri personaggi, talvolta personaggini, che delineano un panorama fitto di piccola borghesia, nei cui valori familisti di un tempo si sono insinuati germi di malinteso anelito all’arte, alla modernità, alla libertà sessuale. Segnale comune a tutte le donne della commedia, il cambio del nome di battesimo, sentito come antiquato e inadeguato alle loro esigenze espressive, per cui via Pellegrina o Ninetta, ma Vanessa, Iaia e così via.

Spicca fra i personaggi, essendone in parte diverso, la figura del Professore, che Luigi De Filippo si è scritta per lui: bonario, vedovo e solo, saggio di sapienza antica, da insegnante disilluso ma tuttavia tenace nell’insegnare quello che ritiene giusto ai giovani, appena un po’ concessivo rispetto all’integerrimo che era, perché anche lui, sentito di quel Sasà così potente, rimane a casa degli impazienti amici del regista cedendo le sue provviste per arricchire il pranzo, perché vuol chiedere al tanto atteso ospite il favore di sistemargli il figlio disoccupato. L’attesa per l’arrivo del regista si protrae, permettendo ad altri personaggi di apparire, dalla shampista-cubista che oscilla fra il travesti e la vamp di discoteca, alla portiera che vince al lotto sognando i numeri che via via i defunti del palazzo gli suggeriscono in sogno. E si conclude con l’arrivo di un avvocato azzeccagarbugli che tutto vorrebbe sistemare a suon di cause, a cominciare dal fortunoso ritrovamento del padre del nascituro che la ragazza incinta denuncia con toni da Sibilla  riconoscendolo nel suo “guardia del corpo”.

Sasà non  arriva; anzi, con una telefonata annuncia che non è potuto partire, ma certo si farà vivo al più presto, e verrà a incontrare i vecchi amici.

E’ chiaro che Luigi De Filippo, per il suo inarrivato Sasà, ha sentito nell’aria il personaggio del beckettiano Godot, mentre Didi e Gogo si sono moltiplicati negli illusi suoi antichi compagni.

Questa gran fortuna di nascere a Napoli, e di rimanervi, è quindi soltanto una fortuna a metà, una tenace forma di resistenza alla povertà e alle difficili condizioni in cui chi vorrebbe emergere anche con un serio impegno si trova rimanendo nell’amata città. Ironia di un autore che pur essendo di Napoli vive e lavora a Roma, ma che alla sua Napoli torna, anche con le sue commedie. Gli attori tutti mostrano straordinarie capacità di interpreti. Vivono i loro personaggi secondo modalità legate al loro linguaggio, talvolta così veloce e stretto da non consentirne la totale comprensione. Ma è la gestualità, sono i toni delle voci che talvolta raggiungono l’urlo a offrire una sorta di incantata teatralità, che in altre lingue non si potrebbe raggiungere. Su tutti, come se appartenesse a un altro universo, di antichi valori in via di sparizione, Luigi De Filippo con soave presenza offre alla sua commedia un’immagine di distaccata epicità.