LA LETTERA DI MAMMA’

di Peppino De Filippo
con Luigi De Filippo, Claudia Balsamo, Stefania Aluzzi, Fabiana Russo,
Riccardo Feola, Francesca Ciardiello, Marilia Testa, Stefania Ventura,
Michele Sibilio, Giorgio Pinto
regia di Luigi De Filippo
Roma, Teatro Paioli Peppino De Filippo
11 dicembre 2014
Maricla Boggio

In una sorta di oasi protetta Luigi De Filippo va costruendo, spettacolo dopo spettacolo, un suo teatro che riecheggia l’epoca in cui i De Filippo scrivevano e rappresentavano, una dietro l’altra, le loro commedie, uniti ancora tutti e tre, Peppino, Eduardo e Titina.
Questa, che debutto’ al Teatro Sannazzaro di Napoli nel ’33 – La lettera di mammà – è fra le più celebri per il meccanismo umoristico che tutta la pervade, traendo dalla vita quotidiana e dagli umani vizi oltre che da qualche rara virtù, lo spunto per delineare una storia, con i suoi nodi drammatici, colpi di scena, incidenti.
Perché, pur pervasa di comicità dall’inizio alla fine, la commedia si sviluppa secondo i canoni di una drammaturgia rigorosa, dove secondo logica, dopo innumerevoli svolte, sorprese e tranelli, il lieto fine si profila felicemente, con immensa soddisfazione di tutti i personaggi, e con un totale appagamento del pubblico. La storia in breve. Un barone spiantato – inevitabile che lo impersoni Luigi De Filippo – e un suo nipote allevato in collegio e inesperto delle cose della vita danno la scalata a due ricche di una famiglia di commercianti, graziosa e giovane quella destinata al baronetto, attempata e non proprio una bellezza quella per il barone, che tuttavia volentieri si sacrifica offrendo il suo blasone in cambio di una vita agiata. Il baronetto tuttavia è bloccato dalla lettera che mammà prima di morire gli ha scritto raccomandandogli di rispettare le donne, frase fraintesa dal giovane al punto da non sfiorare con intenti sessuali la sua bella sul punto ormai dell’esasperazioni. Prevedibile che in mezzo a mille vicende, incontri, gaffes e attese, la storia proceda a lungo tenendo col fiato sospeso gli spettatori, desiderosi che si compia il benedetto accoppiamento senza il quale il vecchio barone non otterrà la mano dell’attempata promessa, come il padre dela giovane sposa ha imposto per salvaguardarsi dal comportamento dello sposo lontano dall’idea di accoppiarsi con la ragazza. Il che finalmente avverrà, per l’inconsapevole intervento di due amanti che hanno avuto casuale ospitalità nella casa dei protagonisti, baciandosi appassionatamento e suggerendo finalmente al giovane timido le modalità per creare una famiglia. Questa la vicenda che, come si sa, non è tutto in una commedia, poiché sono i modi, gli accorgimenti, la costruzione dei personaggi, il clima che si viene a creare attraverso la recitazione e la conduzione registica a far nascere lo spettacolo di livello. Qui Luigi De Filippo ci si mette d’impagno, senza voler assegnare alla commedia paterna valori diversi dai suoi originari. Anzi, è lui stesso in due momenti, a uscire dal ruolo per indurre gli spettatori alla riflessione circa un mondo napoletano – ma universale. diremmo – scomparso oggi rispetto ai rituali comportamentali antichi, o anche soltanto di una settantina di anni fa. E’ un mondo – afferma Luigi rivolgendosi al pubblico – di buoni sentimenti che a Napoli non si trova più. Certo, camorra e interessi malavitosi, e una concezione più consumistica attuale hanno di molto mutato i costumi. Ma questa ricerca di valori emerge ancora, sotto aspetti cambiati ma vitali. Anche alla fine De Filippo torna a parlare al pubblico. E’ un dialogo a distanza che coinvolge chi ascolta e lo rende partecipe di un clima che è proprio di un teatro dalla forte colloquialità. Con stile preciso nella delineazione di ciascun carattere, gli attori presentano i loro personaggi, quasi un balletto nella veloce rincorsa delle scene, ognuna delle quali termina con una bella uscita da attirare l’applauso. La compagnia diretta da Luigi de Filippo si merita il riconoscimento di far rivivere un modo di fare spettacolo attraverso un richiamo alla tradizione, riproposta che si pone come consapevole di arrivare da altri tempi e di risultare al di là dei tempi e delle mode.