LA REGGENTE

FORTUNATO SPETTACOLO IMG_0915di Fortunato Calvino

con

Elena Russo, Salvatore Striano, Luigi Credendino

scene di Renato Lori

luci di Cesare Accetta

costumi di Zaira De Vincentis

regia di Stefano Incerti

Produzione 8P Management

Roma, Teatro Brancaccino

12 ottobre 2017

Maricla Boggio

È un turbine di parole secche, che tagliano l’aria e colpiscono come frecce, quelle che Fortunato Calvino fa pronunciare ai suoi personaggi. Un trio perverso e disposto a tutto, in una camorra guidata dalla donna del boss in carcere al 41bis, delegata quindi a sostenere gli affari di famiglia, una “reggente” degli affari, il “pizzo” che ad ogni negoziante del quartiere viene estorto mensilmente. Ma non contenta di quel passaggio di potere, la donna aumenta in crudeltà arrivando a tormentare le sue vittime se non pagano in tempo, mentre al suo fianco pone Eduardo – Salvatore Striano con intensa adesione -, un fedelissimo che la soddisfa anche sessualmente, sopperendo a quel vuoto che ‘O Pazzariello, il compagno prigioniero le fa sentire. La sensazione che si prova seguendo le scene che via via si giustappongono è quella di rivedere in chiave moderna una specie di “Arden di Feversham” elisabettiano, mentre la forza distruttiva della Reggente interpretata con efficacia da Elena Russo riporta a echi da Lady Macbeth.

Nonostante la durezza del linguaggio e dei modi, sempre al di sopra delle righe, la donna prova un sentimento d’amore verso Eduardo, ma non intende farglielo capire, lui deve soltanto sapere che lo “usa” e non lo ama, addirittura esige da lui che in sua presenza parli in italiano, per una sua pretesa voglia di elevarsi dalla condizione sottoproletaria della sua origine. E altre ambizioni coltiva la donna, dietro l’atteggiamento rude e altero, come il sogno di un teatro del quartiere in cui raccontare tutte le nefandezze – una specie di riscatto culturale? -, a seguito di un antico “laboratorio” teatrale seguito quando aveva pensato di fare l’attrice.

Insieme al fondo rigido e intaccabile del discorso malavitoso, Calvino descrive un panorama di devianze, sogni, dipendenze che popolano la società attuale, in una mescolanza di livelli culturali e sociali che mescola tutto in un calderone di confusi tentativi di emergere.

A differenza di quanto viene realizzato da altri scrittori, attenti alle realtà camorristiche e mafiose di oggi, la linea di Fortunato Calvino immerge tali realtà in un discorso che persegue una linea di pensiero, una sua “morale” che non si contenta di raccontare i fatti, ma interviene drammaturgicamente, come avviene quando a scrivere elaborando il tema scelto è un autore, e non un sia pur fedele e utile giornalista o saggista. È per questo che il testo di Calvino si fa induttore di pensiero, di giudizio e di sviluppo per un tipo di società differente, come avviene con autori che nel corso dei secoli hanno scritto del loro tempo e del loro ambiente, ma ancora oggi ci aiutano a riflettere e a capire i problemi di oggi.

A fianco della coppia si pone Diego – Luigi Credendino efficace nel graduale imporsi -, un giovane disoccupato che da gregario devoto si fa poi spia e giustiziere, in un gioco in cui – come purtroppo davvero accade per i boss carcerati – è il marito della Reggente pur rinchiuso in un 41 bis, a decidere dispoticamente come riprendersi il potere: prima Eduardo, poi la stessa Reggente, cadranno sotto l’esecuzione di uno spietato Diego. Anche in questa duplice esecuzione Calvino pone il suo accento che supera una cruda volontà narrativa. Come seguendo una leggenda riportata in un vecchio film, in cui i cuori di due innamorati uccisi da un marito tradito saranno uniti da un pugnale vivendo eternamente insieme, anche qui la Reggente ed Eduardo, pallidi fantasmi dall’al di là contempleranno i loro due cuori intrecciati in un’antica bacheca di vetro.

La regia di Stefano Incerti segue ed esalta con gusto adeguato, nella scena funzionale e suggestiva di Renato Lori, lo svolgersi della vicenda, con una qualche ridondanza nell’accentuare il clima di crudeltà delle torture attraverso un crocifisso che grandeggia a lungo nella camera da letto della Reggente.

Il pubblico della prima ha seguito il linguaggio talvolta ostico di questo napoletano reinventato da Fortunato Calvino che, anche se non si fa capire in tutte le sue parole, possiede una forza sonora che i gesti e gli atteggiamenti degli interpreti rendono con efficacia assoluta, e ha a lungo applaudito attori, regista e autore.