LA SIGNORA DEL BLUES – VITA DI BILLIE HOLIDAY

di Massimo Roberto Beato

regia di Jacopo Bezzi

con Daniela Barra

Stanze Segrete, Roma , 6-18 maggio

 

Maricla Boggio

Appassionata e insieme astuta, l’operazione che porta – possiamo dire congiuntamente – autore – Massimo Roberto Beato -, regista – Jacopo Bezzi – e protagonista – Daniela Barra – ad elaborare uno spettacolo di sicuro fascino e di ben costruita memoria di un periodo del jazz che continua ad appassionare oggi, specie per certe canzoni che hanno aperto all’epoca della loro creazione nuovi orizzonti alla dignità dei neri nella società americana e complessivamente nel mondo.

Daniela Barra ha presentato più volte suoi spettacoli, realizzandoli soprattutto attraverso un intreccio di testi parlati insieme a canzoni, mostrando così di saper occupare la scena come attrice e cantante.  Qui in particolare si è affidata alla cultura e all’intuito teatrale di due registi-autori di ormai sperimentata capacità, che le hanno disegnato addosso il personaggio di quella leggendaria Billie Holiday che per decenni rappresentò un mito presso i cultori del jazz del continente, dopo aver percorso tutta la gamma di un’esistenza che dagli abissi della miseria e dell’abiezione era riuscita ad assurgere ai trionfi dei palcoscenici più prestigiosi.

La passione, con varie sfumature, ce l’hanno messa tutti e tre, con un vantaggio della Barra, che si appropria delle canzoni con una prepotenza dolce e tenace. Anche l’astuzia è spartita fra il trio. Ma parte soprattutto dall’autore, che rivolta il personaggio in duplice forma, consegnandolo al pubblico in terza persona attraverso una descrizione dei vari stadi dell’esistenza della cantante, affidata alla stessa Barra, a impedire una identificazione riduttiva, linea che con accorta adesione anche il regista segue,  consentendo poi alla cantante di liberarsi nel personaggio attraverso le canzoni, che ne segnano il progressivo ascendere verso una gloria sempre accompagnata dalla sofferenza del vivere.

La vita di Billie Holiday si sviluppa in sequenze cinematografiche con cadenze di anni che segnano il mutamento della protagonista da povera ragazza violentata in età infantile,  costretta a pulire androni e pavimenti per sopravvivere – e le scene di questa straziante fase sono ben teatralizzate con Barra che parla di “quella Billie” mentre strofina e lustra con l’affanno nella voce e innumerevoli ammiccamenti da ragazza di strada, fino a ad affermarsi naturale prodigio del canto, accettata anche se nera, ma pur sempre umiliata anche se apprezzata per quel tesoro di voce e varietà di ritmi. Droga, alcool, incontri sbagliati, sfruttamento portano alle sequenze successive, dove Daniela Barra via via si trasforma adeguando aspetto e voce  con singolare duttilità.

“The man I love” , “The Lady sings the blues” – la canzone il cui titolo riporta il nome a cui venne associata per la sua particolare forma di comportamento, altero nonostante le origini umili e gli ambienti equivoci, dove riusciva a farsi rispettare per la sua personalità oltre che applaudire per la voce – sono state le canzoni che hanno segnato il suo successo. Ma va ricordata soprattutto “Strange fruit”, che a prezzo di dure emarginazioni la Holiday cantò a riscatto del popolo nero: quel frutto di cui canta la canzone è il ragazzo nero appeso ad un albero, triste realtà di un razzismo ancora potente all’epoca in cui Billie veniva accolta con entusiasmo anche da spettatori bianchi. Bisogna quindi affermare che la Holiday, pur accentrata sulla sua volontà di successo, lottò per il suo popolo non tirandosi indietro di fronte a episodi in cui veniva fortemente discriminata. E’ su questa linea di impegno politico che va anche inteso lo spettacolo firmato da Bezzi-Beato, e portato alla ribalta con forte partecipazione da Daniela Barra.