L’ANIMA BUONA DI SEZUAN

l'anima buona di Sezuan nella foto Monica Guerritore 3

di Bertolt Brecht

traduzione di Roberto Menin

con

Monica Guerritore

omaggio a Giorgio Strehler

e

Matteo Cirillo Alessandro Di Somma Vincenzo Gambino

Nicolò Giacalone Francesco Godina Diego Migeni Lucilla Mininno

Roma, Teatro Quirino, 29 ottobre 2019

Maricla Boggio

È con coraggio e palese maturazione espressiva, non solo a livello personale, di attrice, ma di autrice dello spettacolo nel suo complesso, che Monica Guerritore mette in scena un testo -chiave del panorama brechtiano tanto amato da Strehler, che de “L’anima buona di Sezuan” fece più edizioni, con diverse protagoniste, in questo duplice ruolo di She Te la buona e Shui Ta il cattivo, che esemplifica l’epica conclusione del drammaturgo tedesco, per cui la bontà non può sussistere su questa terra, occorrendo quella “cattiveria” che in sostanza è una crudele necessità di difendersi dalla distruzione operata dagli altri.

La storia, è nota. La buona Shen Te, unica ad offrirsi a ospitare gli dèi per una notte, ne riceve una somma con cui, finalmente libera dal prostituirsi, compra una tabaccheria. Subito viene invasa da quanti le chiedono aiuto, rischiando di riportarla alla miseria. Un cugino, Shui Ta, che non è altro che lei stessa travestita, con durezza ma anche giustizia rimette le cose in ordine.  Shen Te passa da una personalità all’altra cercando di portare avanti la sua esistenza, minacciata dalle pretese altrui. Anche un accenno amoroso, attraverso l’incontro con un giovane aviatore che, frustrato nella sua professione, vuole uccidersi, non arriva a buon fine, perché il giovane si rivela senza scrupoli, e il matrimonio salta. Seguono ancora altre vicende, in cui sempre più si rende evidente l’impossibilità ad agire secondo i criteri della bontà, perché subito si viene fagocitati dagli altri.

La scelta estetica di Monica Guerritore sul piano personale è quella di una forte comunicativa con il pubblico, fondata su di una recitazione che supera la quarta parete e con essa la pur devota tendina che pone il limite fra la scena e il pubblico, e si fa dialogo, afflato poetico e sofferenza, entusiasmo e umiltà, e in sostanza inno all’amore, alla sua necessità di avere un posto nella vita, altrimenti sterile e invivibile.

Lo stile di Guerritore sul piano della rappresentazione si concede al già suggerito stile da circo del testo, allargandosi con teneri giochi o ironici suggerimenti, come i tre dèi scesi in terra a cercare persone buone, personificati da candidi sacerdoti con ampi cappelli, o rivestiti papescamente e marcianti su ritmi di samba, mentre la musica supera l’originario Dessau e si fa moderna e allusiva, da canzoni americane all’entusiasmante Piaf del banchetto nuziale. L’impianto scenico richiama, prima che il Grande Regista si affidasse a Luciano Damiani nel 1996, il complesso scenografico firmato da Paolo Bregni nel 1981, con l’ammirevole girevole qui riprodotto, sul quale ondeggia la leggera tabaccheria e si muovono magicamente sedie e personaggi.

Gli attori circondano Monica Guerritore con devota adesione, ciascuno a più personaggi, con ritmi che suggeriscono una certa infantile caratterizzazione giocosa, che ammorbidisce in clima di favola la pur sempre presente epicità dell’assunto. Si dimostra, purtroppo, l’impossibilità che davvero si possa agire in positivo, ed è una sconfitta degli dèi. Ma la cordialità di Monica Guerritore, che si spende con generosità anche estetica rivelando una sua adesione esistenziale all’assunto del testo, scioglie in prospettive ottimistiche le concrete difficoltà, e gli applausi sono convinti e partecipi.