LE SORELLE MATERASSI

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libero adattamento di Ugo Chiti

dal romanzo di Aldo Palazzeschi

con

Lucia Poli, Milena Vukotic, Marilù Prati

Gabriele Anagni, Sandra Garuglieri

Gianluca Mandarini, Roberta Lucca

scene Roberto Crea

costumi Ilaria Salgarella, Clara Gonzales, Liz  Ccahua

coordinate da Andrea Viotti-Accademia Costume&Moda, Roma -1964

luci Gigi Ascione

musiche Mario Incudine

regia Geppy Gleijeses

Roma, Teatro Quirino, 21 novembre 2017

Maricla Boggio

Scritto nel 1934 da un Aldo Palazzeschi reduce da partecipazioni futuristiche, il romanzo “Le sorelle Materassi” mette in mostra dell’autore un clima più intimo e tradizionale, mutuato fin dall’infanzia per nascita e famiglia. Nel 1972 la televisione RAI ne fece uno sceneggiato, a firma di Mario Ferrero grande regista per di più fiorentinissimo, che ebbe un grandissimo successo. Gli interpreti di allora venivano da un teatro di altissimo livello. Sara Ferrati, Rina Morelli, Nora Ricci e Ave Ninchi  con il giovanissimo Beppe Pambieri costituivano il cast dei protagonisti, mentre numerose altre parti ampliavano la narrazione fedele al romanzo attraverso figure che prendevano spazio nello svolgersi delle puntate.

Nell’adattamento realizzato con estrema maestria e capacità di sintesi, necessaria per uno spettacolo teatrale, Chiti ha scelto un tono che puntasse sui caratteri, e da alcune situazioni emergesse un mondo complesso, che non riguardasse soltanto il presente ma facesse emergere le origini di antichi traumi, di pregresse situazioni attraverso cui si giustificasse in qualche modo il comportamento delle protagoniste, dando loro uno spessore che non avrebbero avuto se si fosse rimasti soltanto al presente.

La regia di Geppy Gleijeses, che ha voluto tale taglio, ben si inserisce in questa dimensione, con accorgimenti che di volta in volta suppliscono ai cambi di spazio e di tempo in un simbolico inventare, e ricordare, e ripresentare.

Teresa – una Lucia Poli in stato di grazia, nel suo accento fiorentino di dama decaduta da una solida appartenenza familiare – guida questo gruppo di donne confinate appena fuori Firenze, dove l’aria di campagna confina con il fascino della città, suggerito dal rombo di auto di lusso e dal clamore dei  viveurs che notturnamente vengono a far baldoria invitati dal giovane Remo, nipote delle “signorine”.

Carolina è la sorella succube della più impositiva Teresa, ma anche sua  materna consolatrice e consigliera: Milena Vukotic profonde nel personaggio ogni malizioso dettaglio fatto di sorrisi, occhiate complici e gesti rassegnati. Entrambe le sorelle lavorano di ricamo per la nobiltà fiorentina: il periodo da incubo in cui il padre aveva dilapidato i beni familiari è ormai lontano, e le sorelle hanno di nuovo accumulato una ingente  ricchezza. La terza sorella dissente da quel clima di tenace lavoro accumulativo: la Gilselda è una donna ferita da un abbandono maritale, e considera criticamente l’interminabile affannarsi delle due maggiori, che la schiaveggiano imponendole noiosi incarichi  in cambio della grama ospitalità rinfacciata: Marilù Prati ne fa un’impetuosa ribelle a contrasto con le due terribili sorelle. Quarta figura del gruppo è la Niobe, donna di campagna, solida e ottimista, una creatura che i casi della vita non hanno scoraggiato: Sandra Garuglieri  vi immette una solarità che contrasta con i toni delle padrone, talvolta arrivando a una recitazione epica attraverso qualche monologo inserito da Chiti, pur priva com’è di una visione critica dei fatti, in un complice adeguamento alla volontà delle padrone. A fianco, secondo uno stile di tradizione vernacola, la figura del contadino factotum di Gianluca Mandarini.

Di Remo, il giovane nipote figlio di una sorella morta, accolto, adorato da diventare scopo dell’esistenza delle due sorelle padrone, Gabriele Anagni mette in risalto la tracotanza sorniona, l’insinuazione sensuale con cui adesca le due pudibonde che nascostamente ci stanno, fino a far scattare intonazioni intimidatorie ricattandole fino a portarle sul lastrico con le sue sempre più pressanti richieste di denaro.

Si direbbe che il testo, soprattutto per la regia di Geppy Gleijeses, abbia percorso due strade interpretative. Le sorelle padrone privilegiano  i toni grotteschi, le sottolineature di certi momenti che da ilari si fanno tragici o viceversa; sono coadiuvate dai costumi, che ne esaltano ridicolmente soprattutto i colpi di scena. Così quando, dopo essere state rinchiuse in cantina dal nipote fino a rassegnarsi a firmare una cambiale, accettano la proposta di Remo di essere portate a cena fuori, apparendo paludate come due icone del muto. E soprattutto, con un abile adescamento del pubblico a divertirlo stupendolo, quando si presentano alla festa di nozze di Remo che ha impalmato una ricca ereditiera americana – la bellissima e altissima Roberta Lucca, in calze con giarrettiere sotto il velo dell’abito nuziale – con due abiti da sposa con relativa cuffia a pizzi, secondo un modello “nozze di Maria José”, simbolica rappresentazione del desiderio di essere loro al posto della sposa. Hanno inventato tutti i costumi le giovani costumiste coordinate da Andrea Viotti per un ammiccante divertimento.

Sulla sponda di un verismo che rimette in piedi un discorso serio, di sofferenza esistenziale e di giudizio critico, è la Giselda di Marilù Prati, che riporta la vicenda alla sua reale tristezza, a quel male del vivere che ricorda un Giacosa di “Come le foglie” o addirittura un Cechov di “Tre sorelle”.

Le due sorelle, rimaste con la Niobe nella casa abbandonata da Remo ormai proiettato nel bel mondo  e da Giselda alla ricerca di una sua dimensione, si rassegnano, al passo con i tempi, a lavorare ai corredi dei matrimoni piccolo-borghesi, per rialzarsi dai debiti in cui le ha messe il nipote, le cui foto in posizioni scultoree, conservate dalla fedele Niobe,  offrono una magra consolazioni alle due illuse signore. Finale consolatorio in cui la tenerezza della lontananza fa dimenticare la sgradevolezza di una realtà appena vissuta.

Gli spettatori del Quirino stanno al gioco, e prendono da questo Palazzeschi-Chiti-Gleijeses quella ricca ventata di divertimento che ne è l’elemento determinante.