FEMININUM MASKULINUM

uno spettacolo di Giancarlo Sepe

con

Alberto Brichetto

Lorenzo Cencetti

Chiara Felici

Alessia Filiberti

Sriela La Stella

Aurelio Mandraffino

Giovanni Pio Antonio Marra

Riccardo Pieretti

Alessandro Sciacca

Federica Stefanelli

e con la partecipazione di Pino Tufillaro

musiche

Davide Mastrogiovanni

Harmonia Team

scene

Carlo De Marino

costumi

Lucia Mariani

disegno luci

Javier Delle Monache

Roma, 6 aprile 2024

Teatro La Comunità

Maricla Boggio

1929 – 1936 dentro a queste due date si consuma il risultato di un cambiamento che sembrava portare la sua voglia di vivere, le sue mode musicali ed erotiche. Il 3 gennaio del 1933 sale al potere Hitler e Giancarlo Sepe coglie il prima e il dopo nel suo farsi affollato di esistenze, di relazioni, di giochi amorosi; inventa per questi amanti della vita, con il nulla della fantasia, una piscina con un fazzoletto di seta e chi vi si va sopra sprigiona il rumore di mille spruzzi; giocano fra loro, si fanno la corte, si inseguono e si innamorano per poi lasciarsi guardinghi, timorosi di qualcosa che sta avvenendo ma non si sa ancora che cosa. Giovani, corrono, si affrettano, sono un numero infinito che si moltiplica e cambia, corpi alla ricerca dell’altro in un mutare di cambi di luce, di costumi che li esibiscono maschi e femmine, ma basta un veloce cambio di abito per cambiare sesso, il timore è sempre alla porta dove qualcuno batte seminando il terrore. Si avvicendano così momenti di allegria a timori di un qualcosa che sta avvenendo ma non si può classificarlo. Dalla musica spensierata di stampo francese si passa a una musica dove è impressa pesantemente la cifra tedesca, ma è la musica americana a prevalere, il mondo spensierato dove anche gli ebrei come Billy Wilder trovano la loro affermazione, all’estero. In questo coacervo di sensazioni il mondo dei tedeschi frustrati dalla caduta della repubblica di Weimar va pesantemente diventando nazista. Brevi episodi danno la cifra della tragicità del momento, come quello di Hitler che amoreggia con la nipote e poi la fa uccidere. Come la costrizione dei costumi che proibiscono l’omosessualità, che invece serpeggia fra gli ufficiali nazisti, e pone il terrore fra quanti vogliono avere la loro libertà di costumi e di pensieri, e si rifugiano negli antri bui, si nascondono al mondo cercando uno straccio di libertà. Tutto questo mantenuto in uno stile sotteso dalla musica, ritmato da una recitazione al passo con essa, modulato dai repentini cambi di luce, dal forte intervenire dei colpi di pistola che pongono fine ad episodi iniziati con imprevedibili sviluppi. Tutte queste descrizioni non hanno valore rispetto a uno spettacolo che Giancarlo Sepe ha inventato con una creatività paziente e tenace, con la pazienza di un certosino e la fantasia di un mago, staccando la sua creatura dalla realtà e facendone un sogno, spesso un incubo ma di quelli da mantenere perché raccontano con più aderenza alla realtà storica che se avessero illustrato un documentario. Qui si arriva a entrare nei corpi di questi esseri emergenti dalla scena e di farli propri, in un passato trasformato dalla storia e mantenuto nella memoria. E i costumi di Lucia Mariani, ricchi di fantasia aggiungono possibilità espressive agli attori impegnati a ritmo sostenuto a continui cambiamenti.

È bello poi sapere che Sepe ha lavorato per mesi al laboratorio da cui ha poi tratto la dozzina di interpreti – ragazzi devoti a questo lavoro di immedesimazione che li ha portati a questa perfezione che solo la dedizione e la fiducia possono portare. In mezzo a questi giovani spicca l’episodio in cui Thomas Mann parla del premio Nobel a lui attribuito, e ancora appare, figura che grandeggia come un giusto estraneo a quell’insieme di esseri frutto del regime, con la moglie ebrea con cui partirà per l’America, decidendo finalmente di sfuggire alle grinfie di Hitler. E un Pino Tufillaro trasformato dalla volontà di essere il personaggio appare magicamente con la stessa credibilità di un redivivo Thomas Mann. Questo contrasto fra lui e il popolo sottomesso e sfuggente costretto al nazismo dona ancora ulteriore risalto all’idea di Sepe, all’immagine che dura l’attimo dello spettacolo e rimane impressa nella mente e negli occhi di chi vi assiste. Ed è una commozione che di fronte a questo insieme pervade al di sopra di una comune definizione, si rimane assorti e si ripensa a quanto assistito.