LO STUPRO DI LUCREZIA


versione italiana e adattamento teatrale di Valter Malosti

dalla traduzione di Gilberto Sacerdoti

con Valter Malosti, Alice Spisa, Jacopo Squizzato+produzione Teatro di Dioniso

Roma, Teatro Vascello, 3 dicembre 2013

Maricla Boggio


In scena fin dalla scorsa stagione, è di grande impatto visivo ed emozionale lo spettacolo che Valter Malosti ha realizzato con essenziale apporto di elementi visivi, tutto incentrato sull’interpretazione dei tre attori che animano il poemetto shakespeariano “Lucrezia”, dal regista intitolato  “Lo stupro di Lucrezia” a voler sottolineare il tema da cui si sviluppa la tragedia. Ed è infatti di estrema modernità la vicenda antica che racconta lo stupro operato dal giovane Tarquinio, figlio del re, nei confronti della casta moglie di Collatino, il generale romano con cui ha appena conquistato la città di Ardea. E’ proprio la fama della donna, bella quanto onorata, a suscitare la sfrenata voglia di impadronirsene da parte di Tarquinio, che lasciato l’accampamento raggiunge il palazzo di Lucrezia nella vicina città di Collazio. Ignara la giovane donna riceve colui che crede un caro amico del marito, e senza sospetti lo ospita. Nella notte Tarquinio sente crescere una passione incontenibile per la bella matrona, finché soggiogato dai sensi entra nella stanza di lei e nonostante le sue suppliche la possiede con ogni sorta di violenze. La donna manderà a chiamare il marito attraverso un messo, e quando questi accompagnato dai notabili dell’esercito arriva, fremente per l’ansia di conoscere quanto ha angosciato la sua sposa, Lucrezia, dopo aver raccontato la violenza subìta, si toglierà la vita per liberare la sua anima, rimasta pura, dal corpo irrimediabilmente insozzato dal vile stupratore. Questa in sintesi la vicenda per chi non conosce il poemetto di Shakespeare, vero gioiello in versi che narra l’episodio, nella mitostoria considerato come il momento in cui la monarchia a Roma ha termine per l’ira scatenata contro i Tarquini dal popolo e l’avvento della repubblica. Al di là del racconto, è la meravigliosa capacità del verso a destare in chi assiste allo spettacolo sentimenti di immedesimazione. Malosti ha lasciato che i versi fluissero nitidi sia dalla sua voce – una sorta di io narrante lontano, che da una scrivania evoca l’antico episodio, sia sulla scena dove agiscono i due personaggi dell’evento. Questi si alternano nel dire, e ciascuno è talvolta il personaggio che vive il momento, o colui che lo riferisce con freddo straniamento, una tecnica recitativa spesso usata da Luca Ronconi, ad esempio ne “Quel pasticciaccio brutto de via Merulana”. E’ una scelta espressiva che consente l’azione, balzante in scena a seguire l’andamento dei versi come se anch’essi fossero i gesti, le fantasie ossessive di Tarquinio mentalmente già impegnato nello stupro, o la candida fiducia di Lucrezia generosa ospite inconsapevole, fino al vissuto tragico dell’azione delittuosa, in cui si intrecciano davvero quei corpi prima soltanto sfiorantisi, poi drammaticamente convulsi, fino alla stanca rilassatezza del dopo. C’è uno stacco, dopo l’azione violenta, in cui si affaccia il richiamo al moderno giudizio denunciatore. Ed è Lucrezia che appare vestita a lutto, abitino nero e scarpette col tacco, una specie di misera vedova di se stessa, giudicante implacabile anche di sé, che nel prevenuto giudizio maschile è ormai segnata lei stessa dalla colpa. E’ qui che, senza aggiunte di chiacchiere e di denunce, fa breccia il giudizio sull’atto delittuoso dello stupro. I due attori, Alice Spisa e Jacopo Saquizzato – a cui fa da sostegno sonoro Malosti narrante, un po’ innamorato di Carmelo – sono calati nei personaggi con sorprendente leggerezza e forza espressiva, quasi immagini pittoriche a cui non dà peso la propria reale carnalità, pressoché semoventi nel vasto spazio scenico dove un tappeto rosso ne preannuncia il tragico divenire, a cui suoni acuti e spezzati – Penderecki?, nulla ci viene segnalato circa le musiche – offre adeguato sostegno.

Le centinaia di versi si consumano rotolando nella traduzione di Gilberto Sacerdoti, talvolta ansimante nel ritmo, ma efficace e liberata da eccessi di antichità attraverso l’adattamento dello stesso Malosti.