L’ORA DI RICEVIMENTO

Banlieu

L'ora di ricevimento 3 MEDIA- foto di Alessandro Botticelli

di Stefano Massini

con

Fabrizio Bentivoglio

e

Francesco Bolo Rossini, Giordano Agrusta, Arianna Ancarani

Carolina Balucani, Rabii Brahim, Vittoria Corallo, Andrea Iarloni

Balkissa Maiga, Giulia Zeetti, Marouane Zotti

scenografia Marco Rossi

costumi Andrea Cavalletto

musiche originali Luca D’Alberto

Voce cantante Federica Vincenti

luci Simone De Angelis

regia Michele Placido

produzione Teatro Stabile dell’Umbria

Roma, Teatro Eliseo, 7 marzo 2017

Maricla Boggio

Con una astuta e funzionale operazione drammaturgica, Stefano Massini ha scelto di raccontare la storia di una scuola in una banlieu francese di una città di provincia – Tolosa – attraverso il racconto di un insegnante di lettere – Ardeche – da decenni impegnato a cercare di creare situazioni di convivenza da parte degli allievi che vi convergono da paesi differenti per religione, lingua, gusti e comportamenti, insieme ai loro genitori, agguerriti e prevenuti ciascuno nei confronti degli altri e soprattutto riguardo all’insegnante, ritenuto a priori ingiusto nel valutare i loro figli.

Ardeche racconta agli spettatori la sua esperienza, che si ripete ogni anno attraverso gli incontri con dei giovani che presentano caratteristiche analoghe ogni volta, tanto da suggerirgli dei soprannomi – sempre gli stessi – per poterli individuare facilmente anche senza ricordarne il nome. Da quello sempre infreddolito a quello che pare non esistere in classe, e che si sceglie un posto lontano dalla cattedra. E’ colto e raffinato, Ardeche – Fabrizio Bentivoglio lo interpreta con toni di riflessione introspettiva e di acuta ironia autocritica -,  ma non si comporta poi altrettanto nobilmente rispetto agli allievi, anche se una certa bonomia pare sostenerne l’impegno. Questi giovani che il caso ha riunito in una società plurietnica sono visti sia pure con ironia  come animali feroci, ippopotami o serpenti velenosi, né l’insegnante risparmia loro la sua severità professorale, specie quando intervengono a difesa dei figli i genitori che in quell’ora di ricevimento riversano tutte le loro insoddisfazioni e frustrazioni. Numerose sono le scenette che si susseguono nel corso della rappresentazione, alcune comiche, altre grottesche, altre tenere e addirittura struggenti, come quella in cui la madre ispanica, sguattera in un posto a rischio di licenziamento, riversa su Ardeche, nei pochi minuti strappati al lavoro, il suo racconto convulso dell’aiuto dato alla figlia che le chiedeva di suggerirle che cosa avrebbe potuto fare da grande: nella miseria della sua condizione, la madre inventa fantasie giocose, mestieri allegri per quella ragazzina che deve fare il tema, ma il professore  a quello scritto appassionato ha dato “insufficiente”. Se in questo caso Ardeche rimane un istante colpito e consapevole del suo errore, in altre occasioni se la ride e riesce a mostrare a questi genitori la loro ristrettezza di giudizio, come quando li convince della responsabilità della figlia che volutamente lanciando una pietra fa a pezzi una vetrata colpendo anche un bidello che dovrà farsi curare all’ospedale. Il clima di divertimento, che in teatro non guasta anche in situazioni di serietà, è rappresentato da un “en plein” di personaggi genitoriali, che vogliono concertare con Ardeche il menu da fornire ai ragazzi per l’annuale gita scolastica. Scartati via via carni, pesci, formaggi e quant’altro, la decisione si attesta unicamente su di un’insalata, ma Ardeche verrà punito addirittura con una sospensione dall’insegnamento perché ha attentato alla purezza dei giovani allievi condendo l’insalata con dell’aceto, notoriamente derivato dal proibitissimo vino.

La forte varietà dei paesi da cui provengono gli allievi fa sì che nell’impossibilità di una convivenza pacifica si cerchi con buona volontà di trovare soluzioni vivibili. Gli attori che danno vita a questi personaggi, ciascuno nella sua vivace singolarità, rappresentano islamici, ebrei, indiani, anche cristiani; qualcuno appartiene davvero al paese che interpreta, ma la forza del teatro è che tutti quanti, anche nei momenti in cui litigano e si contrastano, hanno invece trovato l’intesa magica della scena, sotto la direzione registica di Michele Placido, e tutti quanti danno prove bellissime, sia nella comicità che nella drammaticità.

All’opposto di Ardeche è il supplente di matematica, pauroso e debole nel farsi prendere in giro dai ragazzi, ma presto fatto furbo dal collega che gli insegna di rispondere allo stesso modo – una gragnuola di pernacchie dei ragazzi – quando li interrogherà, avendo quindi il potere in pugno. E anche questo è un elemento  di realtà, che evita il buonismo a tutti i costi di questi personaggi.

E’ interessante, nella scelta di Massini, quella di aver voluto presentare un professore rappresentante della  nostra cultura occidentale come un personaggio problematico, non privo di comportamenti sbagliati, ma indotto a riflettervi sopra e a  tentare anche senza grande successo di migliorare il suo comportamento relazionale nei confronti di quanti stanno faticosamente tentando di emergere da una società frantumata la cui consistenza è ancora in divenire. E’ il momento finale a sottolineare questa volontà. Ardeche sogna di incontrare un allievo di cui non ricorda né la fisionomia né il nome. Si accorgerà di vedere in lui tutti quanti sono passati nella sua classe in tanti anni, e il senso di colpa nel non ricordare questi ragazzi gli farà forse cambiare comportamento nel confinarli a soprannomi di comodo, ma lo porterà a cercarne le esigenze profonde e il bisogno di dialogo vero.

Massini ha scelto acutamente sia il tema della pluralità delle culture, sia il luogo preso in esame.Tali scelte gli permettono di avere un testo facilmente rappresentabile anche all’estero, a cominciare dalla Francia in cui è ormai di casa. E gli consente di parlare dell’altrove, senza entrare nel merito di una situazione italiana, quanto mai altrettanto problematica in molte zone della nostra penisola. Maestri all’altezza di situazioni gravemente toccate dalla discriminazione culturale e di classe li abbiamo avuti con don Milani e la sua Scuola di Barbiana, decenni dopo con il maestro impersonato da Bruno Cirino in uno splendido sceneggiato televisivo che illustrava una realtà molteplice di disagio, e dobbiamo ricordare il professore che nel carcere minorile di Palermo riuscì a riscattare tanti giovani già segnati dalla vita.

Forse un teatro di questo genere bisognerebbe farlo mettendo a fuoco situazioni che ci riguardino da vicino.