MIGLIORE

_@Anna Carmelingo

scritto e diretto da Mattia Torre

con

Valerio Mastrandrea

foto Anna Carmelingo

Produzione Nuovo Teatro

Roma, Teatro Ambra Jovinelli

5-22 gennaio 2017

Maricla Boggio

Non si salva proprio nessuno nel mondo disincantato di Mattia Torre che Valerio Mastrandrea incarna con perizia esatta, straniata.

Perché quanti sono intorno al protagonista Alfredo – mite e indifeso, arrendevole e pietoso delle altrui miserie  – sono tutti animati da cattiverie a vario livello, di  alterigie vuote, di malignità compiaciute. E Alfredo sopporta lo stressante e servile lavoro in una modernissima azienda come “segretario particolare” di uomini importanti a cui fornire nell’arco di pochi minuti o di poche ore quello che desiderano, con la bizzarria egoistica dei ricchi e famosi per i quali l’altro non è che uno strumento da usare per il proprio piacere.

Ma altre piccole e infime angherie sopporta nel suo privato, sia nell’ambito del condominio in cui cerca di rendersi utile – una signora dei piani alti è paralitica -, o in famiglia, con genitori distaccati o asfissianti e sorella ansiosa e interrogante; nei pochi momenti di libertà si dedica a svaghi distensivi, in cui però si cimenta spesso con scarso risultato – il tiramisù non gli riesce proprio, neanche cominciando a rompere un uovo -; o accogliendo l’invito dei compagni illusi di quei diversivi giocosi rispetto alla durezza del mondo, si cimenta a fare i dolci “come una volta” o adotta un pero malato in Piemonte, in una rincorsa a un mitico buon tempo antico, illusoria ricerca a estraniarsi dalla durezza del mondo presente. E nella sua mitezza Alfredo cerca di aiutare la signora paralitica portandola fra le braccia per le scale, un giorno che l’ascensore è guasto; nonostante che la signora si opponga, Alfredo insiste nella sua gentilezza, ma scivola sui gradini bagnati per la recente pulizia, e la donna sfuggitagli dalle mani batte la testa e muore. Alfredo se ne sente colpevole e pensa di meritare una pena – omicidio colposo -, ma un furbo avvocato riesce a farlo assolvere, con stupore del responsabile.

Durante la cena che la sorella ha voluto offrirgli per “festeggiare” l’assoluzione, c’è un colpo di scena, apparentemente piccolo, ma decisivo. Alfredo viene colpito nel ristorante dalla sedia di un avventore seduto dietro di lui in continue risate; dopo più volte in cui raccomanda al vicino di fare attenzione, non regge a un ulteriore colpo e alzandosi urla con violenza “Basta!”, un’ esclamazione che risuona tutt’intorno e fa congedare frettolosamente l’invadente brigata, mentre piovono applausi e complimenti ad Alfredo che ha saputo reagire con forza al sopruso.

Come uno shock  quel grido scatena nel giovane una serie di mutamenti, che lo inducono a sicurezze prima ignorate, miglioramento di salute, faccia tosta sul lavoro e addirittura sicurezza sul suo appeal di maschio con la bellissima figlia del presidente dell’azienda in cui, fermo fino ad allora all’ultimo gradino della carriera, assurge a posti di comando con l’aggiunta di un matrimonio con la facoltosa ragazza. Che il pero muoia non gliene importa niente, che muoia addirittura suo padre lo lascia indifferente.

All’esame da sostenere in azienda per raggiungere l’alto livello che ormai lo attende, è proprio quel tiramisù che non sapeva fare che lui sceglie descrivendone la storia, le qualità energetiche, poetiche e quant’altro.

La scena finale, fulminante, è quella in cui, armato in maniera “scientifica” di una preziosa valigetta che scende dall’alto, riuscirà con perizia a rompere senza difficoltà l’uovo che costituisce la prima fase per realizzare il tiramisù.

Così si conclude, nella metafora della riuscita, il lungo e articolato monologo che Valerio Mastrandrea interpreta dando risalto a ogni dettaglio suggerito, con parole e gestualità, tic, cambi di voce e addirittura versacci di un cane.  Di metafore ce ne sono parecchie, durante il percorso di questa “educazione sentimentale” al rovescio, e come tali le abbiamo prese, seguendo la penetrante scrittura di Mattia Torre.

Tuttavia, al di là della suggestiva creazione del personaggio, ci rimane la sensazione di una mancanza di approfondimento, che mantiene in superficie la trasformazione di Alfredo in “cattivo”. Non abbiamo avvertito dramma nella sua malvagità, ma comportamenti di medio livello rispetto alla media delle persone. E’ forse questo il dramma più forte: sentendo i commenti, a teatro strapieno, di alcuni spettatori, si erano tutti quanti divertiti e lo avevano trovato chi bravo, chi carino, chi simpatico. Certo l’inconsapevolezza del male circola dappertutto oggi. Ma Alfredo, almeno in questo monologo, è ancora indenne rispetto a mali peggiori.