MOLTO RUMORE PER NULLA

di William Shakespeare

traduzione e adattamento di Giancarla Sepe

con Francesca Inaudi, Giovanni Scifoni, Pino Tufillaro, Daniele Monterosi, Mauro Bernardi, Daniele Pilli, Valentina Gristina, Claudia Tosoni, Camillo Ventola, Fabio Angeloni, Leandro Amato

Regia di Giancarlo Sepe

Produzione di  Francesco Bellomo

Roma, Teatro Eliseo, 8 gennaio 2013

Maricla Boggio

Con il rispetto che si deve a un classico che non invecchia, Giancarlo Sepe si è avvicinato a “Molto rumore per nulla” di Shakespeare e lo ha immerso, mantenendone la materia giocosa all’apparenza ma anche ricca di problematiche moderne, care a intellettuali come René Girard, in un contenitore che lo ha liberato da schemi storico-gerarchici, come l’Autore l’aveva scritto, nello stile di tanti altri suoi drammi, tipo “Tutto è bene quel che finisce bene” o “Romeo e Giulietta”.

Lo spettacolo, realizzato con agile e disinvolta fantasia, è stato prodotto da Francesco Bellomo, non nuovo a gettarsi in imprese audaci, come questa che ha debuttato la scorsa estate a Verona.

In questo spettacolo i nobili, gli innamorati, la corte, pur restando nella storia come sottofondo, entrano in un gioco picaresco, dove gente di strada e di zingaresca appartenenza si diverte a ricreare la vicenda amorosa di due coppie dalle differenti caratteristiche. Motore segreto e rovinoso, il perfido don Juan, fratello naturale del Principe che viene alla corte del signore di Messina, Leonardo – Lionato nella versione classica – insieme al fratello e ai suoi amici, tra cui il giovane Claudio. Analogo a Jago, don Juan ordisce una perfida burla ai danni della giovane Ero, figlia di Leonardo, promessa sposa di Claudio, facendola passare per infedele e viziosa. Il discredito sulla ragazza annulla le nozze, e lei cade a terra svenuta. Sarà il Frate – figura assai presente nei drammi shakespeariani – a ordire un seguito in cui, facendo credere morta la ragazza, porterà Claudio, pentito della sua credulità, ad accettare una nipote che gli offre Leonardo, in tutto simile a Ero, espiando così nell’obbedienza il suo peccato. L’incontro e l’accettazione da parte di Claudio della giovane velata ricorda in tutto la scena di Admeto con Alcesti riportata da Eracle al mondo dei vivi, ed è una bella citazione dell’Autore inglese a Euripide.  La figura di don Juan rappresenta il soggetto invidioso che distrugge con la sua malvagità i sentimenti positivi, come nota in un suo saggio su Shakespeare lo studioso René Girard. Altri due tipi di comportamento danno senso positivo alla storia: provengono da coloro che cercano di far innamorare quelli che non hanno il coraggio dei propri sentimenti, portandoli finalmente alla reciproca dichiarazione e all’unione finale: i gentiluomini influiscono su Benedetto – lo scatenato Giovanni Scifoni -, una sorta di folletto spiritoso e loquace il cui amore per Beatrice non riesce a rivelarsi, per eccesso di intelligenza – come di rinfacceranno gli stessi innamorati – ; analogamente le dame, fingendo chiacchiere fra loro, inducono Beatrice – la multiforme Francesca Inaudi su note comiche e sentimentali, acrobatica e disinvolta fino al grottesco –  a credere che il giovane sia innamorato di lei, e così questa coppia troverà la sua strada. Il gioco dell’amore assume quindi due connotazioni diverse: quello tragico di Claudio ed Ero, quello divertente e bizzarro di Benedetto e Beatrice.

Il clima di libera interpretazione intinta di idiomi napoletani ma anche nordici – come del resto segnala Shakespeare nella sua versione originale – attiva balli di gruppo, canti zingareschi e costumi da trovarobato, insieme a una scena che un siparietto brechtiano trasforma a vista.

Giancarlo Sepe ha attinto alla sua esperienza e memoria dove il linguaggio è parte e non essenza dello spettacolo, pur mantenendo laddove era giusto l’abile intreccio delle battute, qualcuna anche in uno spericolato tentativo di restituire giochi di parole e assonanze; maestro di operazioni di gruppo, guida i suoi attori a una coralità che al momento giusto fa riemergere il singolo.

Fra gli attori, di allegra presenza e festosa capacità di rappresentazione, insieme all’autorità che gli viene dal personaggio, spicca Pino Tufillaro, nel ruolo di Leonardo, ha saputo crescere e maturare, spesso al fianco di Sepe, nel corso di alcuni decenni, rivelando doti via via coltivate con intelligenza e intuizione.