MURA

MURA foto1 - Copia

di Riccardo Caporossi

ideazione, progetto, messa in scena, esecuzione di Riccardo Caporossi

con Vincenzo Preziosa

luci Nuccio Marino

foto Zhang Xinwei

Produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale

Maricla Boggio

Vedere uno spettacolo firmato soltanto da Riccardo Caporossi, dopo gli innumerevoli ideati insieme a Claudio Remondi scomparso da anni, mi aveva suscitato una  vaga inquietudine, il senso della perdita e quindi della mancanza, e il desiderio – più che una semplice curiosità – di vedere come si fosse svolto il momento successivo realizzato da uno solo dei due.

E’ stato bello rendersi conto che Caporossi ha proseguito un cammino spirituale e artistico ricco di nuove suggestioni che proseguono senza mostrare interruzione l’attività iniziata più di venticinque anni fa.

Rispetto ai tanti spettacoli di quegli anni, qui la rappresentazione si fa soffice, in alcuni momenti evanescente, come i sogni e le idee rispetto al peso delle cose concrete.

All’inizio si entra in uno spazio che non ha la sontuosità di un teatro. Il palcoscenico è al fondo della Sala Squarzina, nitida nella rettangolarità popolata di sedie nere e circondata dal biancore dei teli a difesa della luce esterna. Un palcoscenico nero, squadrato, si apre come un teatro dei burattini. E ha inizio una rappresentazione magica, dove leggiadre forme morbidissime dai colori cangianti e solari si muovono accompagnate da preziose sonorità che richiamano incensi e preghiere orientali. Vedremo poi – quando si sarà concluso l’intera rappresentazione che consiste, dopo questo “preludio”, nello sviluppo di “Mura” – che questi effetti arcani sono prodotti da antiche lanterne magiche, accompagnati da fruscii di ampolle iridescenti, di canestri per ripulire il grano come usava sulle aie contadine: tutto viene mosso con estrema delicatezza da Caporossi, che al suo fianco ha la solerte e attenta collaborazione di Vincenzo Preziosa. Come un pifferaio da favola Caporossi incanta gli spettatori, prima di immetterli alla rappresentazione di “Mura”. Cinquanta mattoncini sono i personaggi agiti da due candide mani che si sporgono dall’oscurità a maneggiare quei rettangoli che via via si fanno muraglie e templi, ponti e vertiginosi piani in equilibrio, per poi disfarsi scomparendo in alto con un leggero sbuffo di fumo rosato. Tutto è perfetto, tutto si sussegue con sapiente leggiadria – ci dirà poi Riccardo che ogni mattoncino è rigorosamente numerato e ognuno ha una funzione insostituibile – , ma non è bene rivelare più di questo, perché è proprio dalla svagata semplicità apparente che consiste in gran parte la bellezza dello spettacolo. Che racchiude parecchi significati, al di là della sua riuscita estetica e della gratuità di superficie. Sono muri quelli che Riccardo costruisce e disfa senza soluzione di continuità; le forme che assumono accostandosi in svariate maniere richiamano edifici di paesi lontani e vicini, dimensioni massicce ed altre aeree, tutte comunque protese a dividere di qua e di là -dice ancora Riccardo -, e noi vediamo anche un implicito suggerimento di dualità, che potrebbe essere armonia, come armonico è ogni doppio, sia nel nostro viso che nella duplicità delle mani, delle gambe, dei piedi e soprattutto dell’intesa fra persone che si amano. Ma proprio questa dualità può farsi contrasto e rottura, lite e guerra. Ecco allora la distruzione, il nulla che avvolge in quel colpo secco i due elementi che spariscono come per incanto. Fino a che di mattoncini non ce ne sono più, scende il silenzio, e poi la voce del saggio incantatore che ammonisce e poi tace. Uno spettacolo bellissimo, “fatto con niente”: certo, se per niente si intende il materiale adoperato, i mezzi tecnici affidati alle piccole invenzioni dai nostri antenati bambini. Ma quanta intelligenza, e fantasia, e intuizione per fare “con niente” questo spettacolo impalpabile. E quanto tempo per trasformare l’intuizione in un linguaggio che emozioni gli spettatori!