‘O SCARFALIETTO

AVALLONE IMG_0861di Eduardo Scarpetta

con

Antonello Avallone

Flaminia Fegarotti, Maurizio V. Battista, Alessandro Capone, Mena Giustino

scene costumi Red Bodò

Teatro dell’Angelo, Roma, 5 ottobre 2017

Maricla Boggio

Con la volontà di congiungere il presente al passato attraverso testi che resistano al tempo per una loro carica di umanità o di verità storica, come più volte nel corso delle passate stagioni ha realizzato, Antonello Avallone ha messo in scena una famosa commedia di Eduardo Scarpetta, “‘O scarfalietto”, semplificandone la struttura, complicata in origine da un ingente numero di personaggi e personaggini, tutta quella serie di figurette di imbroglioni, avventurieri, avvocaticchi e “artisti” impegnati nel variété, frequentatori di ballerine dalla incerta fama e rispettabilità, che popolano la Napoli delle commedie di Scarpetta e i racconti di Matilde Serao.

Questi personaggi, Avallone, in un coraggioso mixage, li ha centrifugati e li ha proposti in scena, in un avvicendarsi da capogiro, a fare da contorno alla coppia centrale dell’opera, mezzo aristocratici e mezzo piccolo-borghesi, mezzo partenopei e mezzo italiani del bel mondo partenopeo, don Felice Sciosciammocca e la sua signora: nelle loro infinite diatribe, nelle loro risse coniugali essi sono di una modernità assoluta, in quell’infinitamente ripetuto litigio, che di un pretesto insignificante fanno motivo di catastrofiche separazioni, per poi ricongiungersi amorosamente, una volta scoperto che la ragione del contendere è da attribuirsi non ad uno di loro a svantaggio dell’altro – lo scaldaletto posto sotto le coperte, a disturbare il sonno dell’una contro l’altro e viceversa – , ma al cameriere-maggiordomo causa di quella invadente intromissione da lui operata per vendicarsi del padrone che ha cominciato a trattarlo malamente da quando ha sposato quella sua altezzosissima moglie.

La vicenda offre ad Avallone spunti innumerevoli per esibirsi in una serie riuscita di espressioni partenopee, dai marionettismi alla Totò di antica derivazione, ché quel don Felice Sciosciammocca è a sua volta l’erede di personaggi plautini, a ritmi stralunati di gusto futurista, a cui Maurizio Battista  – il maggiordomo – offre, in supporto ad Avallone, la sua sapida e solida vena di napoletano doc.

A contraltare di questo duetto, Flaminia Fegarotti delinea con fantasiosa litigiosità una nobildonna in continuo contrasto con il marito e in bisbigliati conciliaboli con la “cameriera” – una maliziosa Mena Giustino -, mentre sulle spalle di Alessandro Capone gravano i personaggi dello sfaccendato amante di una ballerina, dell’avvocato chiamato in causa dai due coniugi e del giudice insaziabile donnaiolo.

Alla regia svelta e protesa a divertire contribuisce con essenzialità ironizzante la scena di Red Bodò in cui campeggiano due gigantesche fotografie di antenati di dubbio livello sociale, una per ciascuno dei coniugi, a incombere sui due come un passato non certo aristocratico.

Il pubblico apprezza l’avvicendarsi degli eventi e applaude quando l’astrazione dal realismo dei fatti si fa gioco puro, astrazione che diventa godibile invenzione e premia l’impegno di Antonello Avallone che, sfinito e sorridente, dopo lo spettacolo, rivela che quello “Scarfalietto” lo mise in scena addirittura nel 1983, quasi all’inizio di un suo ingresso al teatro. Come allora, la gente ci sta.