RAGAZZI DI VITA

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di Pier Paolo Pasolini

drammaturgia Emanuele Trevi

regia Massimo Popolizio

scene Marco Rossi

costumi Gianluca Sbicca

luci Luigi Biondi

canto Francesco Della Monica

video Luca Brinchi e Daniele Spanò

con Lino Guanciale

e

Sonia Barbadoro Giampiero Cicciò Roberta Crivelli

Flavio Francucci Francesco Giordano Lorenzio Grilli

Michele Lisi Pietro Masotti Paolo Minnielli

Alberto Onofrietti Lorenzo Parrotto Cristina Pelliccia

Silvia Pernarella Elena Polic Greco Francesco Santagata

Stefano Scialanga Josafat Vagni Andrea Volpetti

 

Roma, Teatro Argentina, 26.10.16

 

Maricla Boggio

Sessant’anni sono passati dalla pubblicazione di “Ragazzi di vita”, che tante polemiche, anche e soprattutto nella sinistra intellettuale italiana suscitò, assai più che nei ranghi cattolici, dove un letterato di alta statura come Carlo Bo ne intuì il non detto di condivisione pietosa dell’autore a una condizione socialmente marginale.

Oggi il libro può essere considerato un documento storico di una situazione allora esposta come al limite della degradazione della periferia romana, rivisitata come invenzione linguistica e per questo staccata dal documento e diventata emblematica di un’esistenza marginale, al di là del luogo geografico.

Quei ragazzi della periferia romana, nella drammaturgia di Emanuele Trevi, si staccano dalla pagina per diventare personaggi in scena, secondo una drammaturgia attenta a non modificare il linguaggio inventato da Pasolini dove esso non è stato concepito come battuta, ma rimane descrittivo di uno stato d’animo, di un comportamento, di un pensiero. E allora si fa, nel personaggio stesso, descrizione di sé. E’ un percorso, questo, di straniamento e di alternanze, che parte da scelte operate da Ronconi, fin dalla rappresentazione de “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”, che Gadda scrisse in questa duplice forma, di teatro già insito nel testo e di narrazione in terza persona, attraverso una scelta registica e prima ancora drammaturgica, che evita la sceneggiatura e mantiene il valore letterario.

Qui tale forma duplice si triplica attraverso il personaggio del narratore – Lino Guanciale in scena ad aprire il racconto di una periferia arsa dal calore e percorsa tutta quanta nelle sue miserie e sontuosità -, a sua volta duplice, in quanto descrittore estraneo al mondo descritto, e partecipe ad esso in quanto a linguaggio, ben calato in questa sorta di romanesco reinventato, grondante colori come un quadro di Scipione.

Sono diciannove gli interpreti che Massimo Popolizio ha messo in scena per evocare quel mondo. Personaggi che si presentano in primo piano restando tali per tutto lo spettacolo – Er Riccetto, Begalone e Amerigo -, e gli altri che si delineano nei vari episodi, di gruppo sciagurato o di festaiolo momento di allegria.

Lo spettacolo scorre con vivacità e alternanze di ritmo, mostrando risvolti teneri e momenti duri. Quello che non appare è la mancanza di una umanità che ha smarrito la propria coscienza  a causa di una esistenza penalizzata dall’ingiustizia sociale. Questi ragazzi paiono più irresponsabili e giocosi che segnati dal negativo di cui non sono che in parte responsabili. E’ come se questo mondo di corruzione e giovanili atrocità fosse stato passato in un bagno di pulizia, ne emerge una sorta di incantato panorama di gioventù in vena di scherzi, con qualche punta di sofferenza, ma blanda, come avvolta in una dimensione sognata. Una dimensione che imprime allo spettacolo il segno di  un omaggio estetico che travalica le celebrazioni e i giudizi di valore e immerge lo spettatore in un clima di gioventù che forse avrebbe potuto avere un futuro, mentre l’attuale situazione giovanile, specie quella delle periferie ormai cariche di presenze di varia provenienza calate nel degrado, è quanto mai più problematica.

Si avverte, nel lavoro di Massimo Popolizio, una solidarietà forte con i giovani attori, un’intesa che parte proprio dal lavoro di gruppo sopra intese interpretative dovute a una buona preparazione.

Dei diciannove, dovrebbero tutti essere citati per l’impegno e la resa. Doverosamente Guanciale si prende dalla sua unicità un’attenzione particolare. Giampiero Cicciò si duplica nell’interpretazione del suo “Er Froscio” sgranandolo con astuzie vocali e al tempo stesso offrendolo criticamente, con allusività.  Sonia Barbadoro ricava dai suoi esigui personaggi il massimo di una sofferta umanità. Roberta Crivelli nella sua Nadia si fa personaggio trucido, di pura invenzione di forme e di voce.

E’ questa capacità di umorismo sul personaggio che costituisce la nota più nuova della regia, già suggerita dalla drammaturgia di Trevi. Nascono così, come momenti di pura invenzione scenica, episodi come la morte di Genesio – Alberto Onofrietti pare davvero un borgataro del più puro candore, qui e nel povero “fusajaro” -, dove il morto interloquisce spiegando e contestando con i compagni – , il contrasto fra i cani – Silvia Pernarella altezzosa Cagna, Flavio Francucci Cane disimpegnato, Francesco Santagata Lupo dall’impeto provocatorio – e altri episodi ancora, come il tragico annegamento di Genesio dove Er Riccetto – uno straordinario Lorenzo Grilli, il cui volto impassibile supera il palcoscenico -, che tanto si era commosso per la rondine in pericolo nel fiume, lascia annegare l’amico allontanandosi da lui in un impeto di vendetta o forse soltanto di indifferenza.

La prima dello spettacolo ha avuto un battesimo particolare. I “ragazzi di vita” erano appena arrivati di corsa, dal loro scivolo dove gareggiavano a buttarsi, fino alla ribalta, quando si sono fermati di colpo: il grande lampadario tondo al centro del soffitto della platea ondeggiava ampiamente, mentre tutta la sala aveva un leggero andamento ondulatorio. Era il terremoto che si è avvertito anche a Roma. Soltanto pochi momenti di panico, e poi  tutto si è rasserenato. Antonio Calbi, con involontario umorismo, ha detto di stare tranquilli perché “il lampadario era assicurato”, certo intendeva che era ben attaccato al soffitto, ma diede l’impressione che si preoccupasse di un eventuale risarcimento. Una bella risata liberatoria permise poi di ricominciare lo spettacolo, mentre purtroppo altri lontani da noi subivano le conseguenze di scosse ben più gravi.