RE LEAR

RE LEAR-al centro GLAUCO MAURI-dsc_0178-credito-filippo-manzini media

di William Shakespeare

traduzione Letizia Russo

riduzione e adattamento

Andrea Baracco / Glauco Mauri

con

Glauco Mauri Re Lear

Linda Gennari Goneril

Aurora Peres Regan

Emilia Scarpati Panetti Cordelia

Roberto Sturno Conte di Gloucester

Francesco Sferrazza Papa Edgar

Aleph Viola Edmund

Dari Cantarelli Matto

Enzo Curcurù Conte di Kent

Laurence Mazzoni Oswald

Paolo Lorimer Duca di Albany

Francesco Martucci Duca di cornovaglia

scene e costumi Marta Crisolini Malatesta

musiche Giacomo Vezzani Riccardo Vanja

luci Umile Vainieri

regia Andrea Baracco

Roma Teatro Eliseo, 21.1.20

Maricla Boggio

Nel 1972 al Piccolo Teatro Giorgio Strehler realizzò un “Re Lear” in cui Ottavia Piccolo interpretava i ruoli di Cordelia e del Matto, sfruttando il fatto che i due personaggi non si incontrano mai nel corso della rappresentazione, nonostante il grande affetto fra i due, e la loro analogicità di sentimenti e di onestà. Nell’edizione strehleriana Re Lear era interpretato da Tino Carraro, misurato e riflessivo anche nei momenti di furia.

Glauco Mauri ha affrontato per la terza volta questo ruolo, nel 1984, nel 1999 e in questa stagione. Per sua stessa dichiarazione, ha voluto dare una sorta di novità all’interpretazione dell’intero testo, assai complesso nella sua interiore duplicità in cui la storia di Lear si intreccia, inglobandola, con la storia di Gloucester. La regia di Andrea Baracco ha assecondato il desiderio di novità del grande attore, inserendolo prima di tutto in una scenografia – di Marta Crisolini Malatesta, anche autrice dei costumi di forte corposità – che ha il sentore di una fabbrica in cui la scritta “King Lear” si staglia sul fondo di metallo e cristalli, quasi a segnalare un potere indiscusso di padrone della fabbrica che crea ricchezza e potere, corredando poi  lo sfondo con un ascensore a vista, in cui il Re domina dall’alto e si riunisce ai sudditi scendendo in mezzo a loro. Anche i suoni appartengono a una sorta di fabbrica di metalli; essi accompagnano le parole dei personaggi con una cupezza anticipatrice di sciagure, mentre la pesantezza della struttura scompare quando si inserisce qualche altra novità, come il ritratto western del “ricercato” Edgar come fosse John Wayne, che appare e scompare sulle superfici annulllandone la materialità.

Altra novità è la presenza del Matto – Dario Cantarelli, rosso indiano il volto e il capo liscio e brillante, coperto a tratti di un simbolico cilindro fiammeggiante, che appare come prima immagine stagliandosi sulla scena ancora buia. È  un segnale che indica l’importanza di ciò che il Matto rappresenta, dalla saggezza alla follia, e che pervade l’intero spettacolo con la sua presenza giudicante.

Lo spettacolo segue la linea coerente dei fatti, via via tingendosi di elementi figurativi sempre più allusivi circa la loro modernità. Chi rimane intatto nella sua forza interpretativa al di là del contorno pur interessante e innovativo, ben concertato nei continui inseguimenti dei personaggi perseguitati dagli eventi e dalla tragicità delle circostanze, è Glauco Mauri, con l’imponenza del suo tratto recitativo, la scioltezza del suo dire che passa dalla gioia all’ira, dalla fiducia alla disperazione, fino alla follia. Abiti e trucchi non mutano la sua capacità di soggiogare la parola e di offrirla in tutta la sua importanza agli spettatori.

Notevoli gli apporti degli attori ciascuno nel suo ruolo. Non potendo citare ognuno, va detto che il Matto di Dario Cantarelli è un totem di allusiva capacità intimidativa. Il conte di Kent  di Enzo Curcurù riesce a imprimere al suo personaggio una intensa pietas. Roberto Sturno è un Gloucester dai molteplici sentimenti che con la sua esperta capacità interpretativa riesce a giocare nei vari risvolti del dramma. Audace il tentativo di rendere amiche le tre sorelle a cui imprimono durezza e capricciosità Linda Gennari e Aurora Peres, mentre la Cordelia di Emilia Scarpati Fanetti punta espressivamente sulla parola sufficiente a dimostrare.

Nel complesso, l’elemento favolistico, leggendario, che sempre emerge nel “Lear” si è posto dietro alla volontà di richiamare la storia  all’oggi, alla disperazione di un domani senza futuro, in cui tuttavia il teatro si impone come da secoli accade, al di là delle mode.