REGALO DI NATALE

invito stampa

di Pupi Avati

adattamento teatrale di Sergio Pierattini

scenografie Luigi Ferrigno

costumi Alessandro Lai

luci Pasquale Mari

regia Marcello Cotugno

personaggi e interpreti

Avvocato Santelia Gigio Alberti

Franco Filippo Dini

Lele Giovanni Esposito

Ugo Valerio Santoro

Stefano Gennaro De Biase

Roma, Teatro Quirino, 7 maggio 2019

Maricla Boggio

La trasposizione dal film omonimo, “Regalo di Natale” di Pupi Avati, realizzata da Sergio Pierattini, può dirsi come nata per il teatro, dal momento che l’intero svolgimento della pièce si fonda sul “detto”, cioè su quanto i personaggi dicono, ciascuno con il proprio carattere e la propria sensibilità, venendo a creare nel loro intrecciarsi, scontrarsi e dialogare l’assunto del lavoro.

Il regista Marcello Cotugno, che pur proviene da una formazione anche sperimentale, qui si impegna del tutto a valorizzare questa parola che gradualmente rivela i caratteri dei personaggi, e le loro rispettive morali, impegnandosi a indurre a una riflessione che si può senz’altro definire etica.

Il demone del gioco è l’elemento centrale del lavoro, e in tale ottica si pone fra le importanti scritture di questo genere, a partire da Goldoni in un clima più comico che tragico per assurgere a momenti di intensa drammaticità con Dostoevskij.

La commedia suggerisce, senza nulla tuttavia rivelare, la sorpresa finale, attraverso il titolo, “Regalo di Natale”. E di che regalo si tratterà lo sapremo all’ultimo.

La struttura del lavoro è solida; su di essa si può impiantare quanto occorre per mantenere fino all’ultimo proteso l’interesse dello spettatore.

Il luogo dell’incontro è anonimo – una casa prestata da un’amica a Stefano – fuori dalla città, luogo ideale per il suo anonimato; insieme a Stefano vi convergono Franco e Lele la notte di Natale, strana data per giocare un partita a pocker.

I tre sono convinti di farsi ricchi in quanto un quarto amico – Ugo  – porterà un signore ricchissimo che ha il demone del gioco ed è contento anche se perde. Amici i primi tre perché insieme sotto le armi, e avendo mantenuto, dopo dieci anni che non si erano più incontrati il piglio degli scherzi soldateschi, le prese in giro, ma anche un’amicizia forte e generosa, si irrigidiscono all’arrivo di Ugo, che con Franco ha un conto in sospeso, avendogli molti anni prima rubato la moglie – Martina – dopo appena quattro mesi letteralmente gettata via e poi – sapremo – finita in un ospedale malata e sola.

Insieme a Ugo arriva l’avvocato Santelia, il famoso signore ricchissimo che i quattro sono certi di spennare, e la partita incomincia, come un ineluttabile giro infernale, di quelli che nelle novelle dei fratelli Grimm durano un anno essendo condotti dal diavolo. Non lo sappiamo che alla fine, ma davvero questo Santelia ha un comportamento diabolico.

È  astuzia della commedia di mantenere il gioco come pretesto per rivelare gli stati d’animo, i valori e i disvalori dei quattro estremamente diversi fra loro: Franco generoso e disponibile ad aiutare i compagni in difficoltà se sarà lui a vincere, Lele querulo per le continue disfatte subìte nella sua esistenza di autore fallito e tuttavia dignitosamente sulla breccia, ma anche spiritoso nel rimettersi in discussione, Stefano insicuro e impaurito per l’incombere nella sua azienda fallimentare della Finanza e tuttavia pieno di una sensibilità affettuosa nei confronti degli amici.

Dopo momenti di tensione, scherzi e rivelazioni, la partita, che ha raggiunto una posta vertiginosa, volge al termine, con tre degli amici che se ne tirano fuori, mentre Franco testardamente rimane a giocare con il Santelia, che pare angelicamente favorirlo.

Abbiamo anche saputo che questo avvocato ha una fabbrica di bambole perfettamente simili, anche per il tatto, a donne vere e vitali, e che il suo avventore è il terribile presidente coreano Kim Jong-un, al cui nome tutti avvertono un fremito di orrore, oltre che il dsgusto per quelle quasi donne da manipolare.

Quando ormai Franco ha perso una somma impossibile per lui, l’avvocato gli dà l’opportunità di andarsene rinunciando a esigere la cifra vinta, è il suo “regalo di Natale”: è un momento sospeso, dove gli altri amici, deboli nel carattere forse perché umanamente fragili, insistono perché Franco accetti la proposta. Ma la dignità del giocatore che è in lui, o forse il demone del gioco che non rinuncia al rischio, lo induce a continuare, aumentando la posta e perdendo così tutto quanto. L’avvocato, ormai rivelatosi un giocatore professionista, portato lì da Ugo ben consapevole di mettere gli amici a rischio, se ne va lasciandogli il suo biglietto: esigerà al più presto la somma vinta.

Che cosa farà adesso Franco, mentre gli amici lo guardano timorosi e incerti? Esce nella neve e dopo un breve silenzio si sente un colpo di pistola. Terrorizzati gli amici accorsi fuori prevedendo la tragedia sentono le risa di Franco, il suo spingerli nella neve in una lotta amichevole e liberatoria fra grida e giovanili imprecazioni. La vita continua, l’amicizia è salva.

Pupi Avati e Pierattini hanno trovato una chiave felice nel realizzare una commedia divertente e al tempo stesso portatrice di una lezione di vita.

L’averla rappresentata in scena è merito di Marcello Cotugno che ,liberandosi da ogni riferimento al film, ha costruito un suo rigoroso tessuto di differenti piani di interpretazione attraverso le diverse identità dei quattro attori, Franco – Filippo Dini – improntato a una recitazione realistica di accentuata simpatia, passando da toni di allegra comunicatività alla esternazione di sentimenti intensi fortemente contenuti -; Lele – proiettato a una recitazione epicamente napoletana, esibita nella comicità più sfrenata fino a cadere al contrario in una disperazione pulcinellesca -; Stefano – Gennaro Di Biase – nei toni di una disperazione trattenuta e misteriosa fino alla esternazione di una fraterna solidarietà -, Ugo – Valerio Santoro – a cui va il duro compito del ruolo del cattivo, che bene sviluppa in graduali e differenti momenti, inserendovi tuttavia il senso amaro di un’amicizia tradita -; l’avvocato Santelia – Gigio Alberti, che delinea una sua figurina incantevole di vecchio all’apparenza rimbambito, che si scioglie poi in brevi attimi qua e là  – il cambio delle calze nascoste nel portaghiaccio, poi recuperate avaramente alla fine è un capolavoro –, finendo nel mostrarci appena per un attimo il volto di un feroce rapace. Una bella regia, in accordo con gli attori e con il testo. Una meraviglia, nel teatro attuale.

Ad aggiungere un tocco di festosa conclusione alla serata, Marco Lucchesi ha segnalato la presenza in sala di Pupi Avati. E sono stati allora applausi rinnovati e affettuoso all’artista, sorridente e deliziato.