SAVED

APPLAUSI SAVED IMG_1879

di Edward Bond

traduzione di Tommaso Spinelli

con

Francesco Biscione – Harry

Manuela Kustermann – Mary

Lucia Lavia – Pam

Gianluca Merolli – Len

Marco Rossetti – Fred

Antonio Bandiera – Barry

Carolina Cametti – Liz

Michele Costabile – Colin

Marco Rizzo – Mike

Giovanni Serratore – Pete

movimenti Marco Angelilli

scene Paola Castriganò

costumi Domitilla Giuliano

luci Valerio Geroldi

consulenza musicale Fabio Antonelli

foto Pino Le Pera

La fabbrica dell’attore – Vascello

Roma, 29 novembre 2017, Teatro Vascello

Maricla Boggio

“Saved” è un titolo che in inglese mantiene ambiguità. In italiano c’è chi lo traduce con “Salvato” e chi con “Salvati”. Non a caso, credo, Edward Bond ha voluto questa ambiguità. Perché nel panorama da periferia londinese anni Sessanta c’è, ad agire, il singolo e il gruppo. C’è la vittima e ci sono i carnefici.

Bond non fa denunce di stampo sociale o politico usando quel linguaggio che siamo abituati a sentire, dei mali crescenti della nostra società, da parte di chi, connivente o in mala fede, pare scandalizzarsi delle tante crudeltà che si verificano nel mondo. Bond osserva e descrive. Sta poi a chi vede e ascolta mettere in moto la propria coscienza. E chi salvare, dopo un’espiazione.

La scelta dei personaggi e del luogo del racconto è il più banale possibile. Qui risiede la forza drammaturgica dell’autore che si misura con l’umanità di oggi, fatta di oscuri individui  frustrati da un’esistenza priva di aspirazioni, spenti da anni in abitudini puramente legate a necessità materiali, dove il cibo e il sesso reclamano esigenze primordiali, a cui nessun apporto culturale ha consentito metafora.

Si snoda così, sotto l’apparenza della banalità, una storia in cui la ragazza Pam ha subito rapporti con Len, un ragazzo appena incontrato per strada; vive con i genitori in una casa cadente e scomoda, dove Harry, il padre silenzioso, spia i comportamenti della figlia con acquisita indifferenza, mentre Mary, la madre ancora attenta alla propria avvenenza, cerca di tenere insieme i brandelli familiari provvedendo ai pasti e ai lavori di casa. Un gruppo di ragazzi scatenati in prodezze di sesso e di droga – ma si tratta di qualche sniffata di benzina – intimoriscono la coppia con scherzi pesanti.

Presto usurato il rapporto con Len, Pam si dà a Fred attratta da una sua esteriore vitalità, e fa un figlio che nemmeno lei sa bene di chi sia.

Capo della banda di teppistelli dall’apparenza intimidatrice ma fino a quel momento innocui è Fred, che se ne fa difesa della ragazza intestardita a volerlo in suo esclusivo dominio e così perdendolo sempre più, mentre Len, combattuto fra l’indifferenza e l’affetto, sta accanto a Pam reprimendo la gelosia.  Trattato come oggetto fra i tanti della casa, il bambino costituisce per ogni membro della famiglia elemento di disturbo e di peso, alla pari con i lavori domestici. Portato fuori in carrozzina e abbandonato da Pam che rientra a casa cercando un momento di sollievo a quel fardello, il bambino diventa bersaglio dei teppisti che in un crescendo di violenza sviluppata in tremenda allegria lo colpiscono con pugni e  pietre, coinvolgendovi anche un pavido e anaffettivo Fred.

È una scena che i cinque attori che la animano fanno deflagrare nella tragedia della vittima sacrificale, dell’antico capro espiatorio che proprio perché innocente colpisce atrocemente la sensibilità di chi vi assiste. La morte del bambino, che sarà fatta passare da un giudice distratto come omicidio colposo, scompare dal panorama dei sentimenti dei membri della famiglia che, come se non fosse mai nato quell’essere ingombrate, tornano alle loro quotidiane faccende, intrise di maniacali appoggi esistenziali e di malcelate voglie.

Scatta a volte un’isterica reazione fra la madre e il padre, gelosie antiche e indimenticati rinfacciamenti; permane abulica in una sua incapacità di cambiare Pam, a cui l’affetto sottomesso di Len porta forse qualche inespresso conforto. Fra Harry e Len nasce, quasi a sorpresa, una sorta di soccorrevole comprensione che arriva a voler continuare a vivere insieme, proprio quando Len vorrebbe allontanarsi da quel tormentato universo di fallimenti.

Non c’è un finale conclusivo; non può esserci, perché questa non è una “pièce bien faite”, ma uno spaccato di mondo su cui interrogarsi. Bene ha fatto il regista Gianluca Merolli a mantenere datato lo spettacolo, quasi che in un film della memoria si tornasse agli anni Sessanta, in una periferia londinese dove viveva gente senza speranze esistenziali. Il linguaggio è mantenuto saldamente in un italiano stringato e duro che non tradisce l’origine cockney – la traduzione è di Tommaso Spinelli -, i costumi di una moda fissata nel tempo – di Domitilla Giuliano – contribuiscono a far risaltare i caratteri dei personaggi; la scena, complessa ma agilmente gestita dagli stessi attori – di Paola Castrignanò – , suggerisce un simbolico disfarsi delle esigue stanze qua e là nel vuoto inospitale.

Gli attori rispondono al senso impresso da Bond a questa tragedia minimale, tanto più grande quanto meno capace di pentimento e di riscatto. Così Francesco Biscione dà al padre una equivoca fissità che tanto più fa apprezzare lo sciogliersi colloquiale del personaggio. Manuela Kustermann sfiora una Fedra moderna, a cui anche il Tennesse Williams di “Un tram che si chiama desiderio” è passato accanto animandone i gesti e gli sguardi. Sapiente nella sua giovinezza è la Pam di Lucia Lavia, che esprime l’ansiosa aspirazione irrisolta del personaggio. In Fred, Marco Rossetti sfodera con atteggiamenti impositivi la sua investitura a capeggiare il gruppo dei teppisti, che sono davvero uno spettacolo nello spettacolo: dalla svampita anoressica in preda alla droga di Carolina Cametti, agli scatenati e perfidi Antonio Bandiera, Michele Costabile, Marco Rizzo e Giovanni Serratore, tutto il gruppo crea nello spettacolo una cornice sonora e gestuale che ne esalta  la terribile cifra esistenziale.

Nel ruolo di Len, l’innamorato sottomesso, Gianluca Merolli ha il compito di rappresentare in un qualche modo misterioso un flebile sospiro di coscienza, ed è anche il regista dello spettacolo, che ha condotto con mano delicata e ferma per tutta la lunga e complessa durata del testo.