SOLUZIONE FINALE


dal libro “Vento e pioggia” di Patrizio La Bella

con Patrizio La Bella, il padre; Edoardo Pesce, Giorgio Caputo, Brenno Placido nelle parti dei figli, Elda Alvigini, la nuora; Tiziano La Bella, Barone

scenografia di Lorenzo Terranera
musica di Roberto Angelini
regia di Patrizio La Bella
Teatro dell’Angelo, Roma
dal 13 marzo all’8 aprile

Una sovrapposizione di piani che si intersecano costituisce la struttura narrativa e drammaturgica di questo singolare spettacolo.

Esso parte da una serie di episodi di vita vissuta, poi rielaborati in romanzo da uno dei protagonisti, Patrizio La Bella, e infine da lui portati in scena in una sorta di dramma che non si arresta all’esperienza definibile come psicodramma, ma si invera da quella realtà sofferta e riplasmata fino a staccarla da sé, dandole autonoma capacità espressiva. Attraverso i vari passaggi della materia, assai scottante, lo sviluppo esistenziale si arricchisce di connotazioni che mostrano anche lati ironici, critici, perfino scanzonati: la disperazione di una condizione invivibile si fa sogno, favola, farsa.

Tema del dramma, tre figli più la moglie di uno dei tre, che vanno alla ricerca del padre imprigionato per uso di droga in Tailandia. Dai discorsi che i quattro fanno all’inizio, in uno spazio antistante alla prigione, in attesa di poter rivedere il padre, si capisce che questi è un drogato cronico e che a fargli praticamente da padre sono ormai da anni i figli. Ma questa situazione disperante in sé per la palese carenza di assunzione di responsabilità da parte del genitore suscita nei giovani una sorta di affettuosa protezione, una connivenza di toni nel rendere meno gravoso all’uomo, ancora giovane ma tarato nel fisico dalla sciagurata esistenza condotta, il suo inarrestabile declino.

La conclusione del primo atto mostra il  padre appena in un suo fugace e pietoso apparire, silenzioso e dolente come un Cristo, mentre il secondo atto si apre su di una stanza di ospedale romano un po’ fatiscente, dove i figli vanno e vengono, litigano, sgridano e coccolano il padre ormai alle soglie della morte, ma irriducibilmente legato alla sua abitudine al fumo e soprattutto al furti di cellulari e oggetti vari, che i figli si affrettano a restituire a medici e primari. Come mai negli anni precedenti, si instaura, con la complicità della imminente dipartita, una confidenza sconosciuta prima, un bisogno di confessioni e rivelazioni, un monologare rimembrante di passati momenti tragici o comici, visti adesso con un’ottica diversa, colloquiale e davvero, finalmente, familiare.

Non mancano situazioni comiche o grottesche, come l’eredità segreta che il padre rivela con ritrosia, e si tratta di una bella provvista di ero che i figli, trovatala nell’astuccio da bagno in casa si affrettano a gettar via, inorriditi al pensiero di essere a loro volta trascinati in un inferno che il padre sta portandosi via. Ma c’è anche il momento di apparente indifferenza in cui figlio che ha concordato con la moglie di non far nascere il bambino di cui è incinta, che si muta nell’accettazione allegra di quella nascita fino alla scelta del nome per il nascituro. Il padre ascolta e pare dormire. Quando tutti quanti se ne sono andati, si avvicina alla nuora che dorme nel letto accanto, la guarda un attimo con tenerezza, poi lieve lieve sale sul davanzale della finestra spalancata e vi rimane, sospeso nell’aria della notte, pronto al volo, mentre scende il buio.

Il lavoro realizzato da Patrizio La Bella, che ha scritto e diretto i suoi compagni, ha un sapore nuovo nel panorama del teatro civile e del teatro romanesco. E’ lo stesso La Bella, attore e produttore cinematografico, a sostenere il ruolo di questo padre negato; in tal modo egli lo recupera come padre facendolo rivivere in scena come personaggio  e al tempo stesso se ne libera come ricordo angosciante in questa nuova dimensione in cui vi si immedesima. La rappresentazione supera  l’esibizione del caso privato dilatandolo, con il sostegno forte di una capacità espressiva, ad una condizione esistenziale in grado di essere assunta come propria anche da chi non è coinvolto in situazioni analoghe.