STILL LIFE (2013)

Con Anna Gualdo Giuseppe Sartori, Fabio Gomiero, Liliana Laera, Francesco Scolletta
Drammaturgia
Ricci/Forte
Movimenti
Marco Angelilli
Direzione tecnica
Davide Confetto

Regia
Stefano Ricci

Teatro Argentina, Roma

Maricla Boggio

Cari amici,
in questo caso una recensione non ha senso.
Avete reso una testimonianza a una situazione attuale della nostra esistenza, in cui le discriminazioni di ogni genere hanno ancora presa in parecchie persone, che non si rendono conto del loro razzismo e credono di essere libere da pregiudizi. Lo avete fatto come omaggio all’iniziativa del Garofano verde, che da diciannove anni, sotto l’iniziativa di Rodolfo Di Giammarco si batte per far conoscere una drammaturgia impegnata in questa direzione. E la serata al Teatro Argentina è un evento unico; più che uno spettacolo è un incontro e un confronto fra chi è in scena e chi è in platea.
Avete toccato realtà che hanno sacrificato vittime che rischiano di passare sotto silenzio nell’opinione pubblica. I ragazzi suicidi sono spesso considerati deboli, disturbati, soltanto da compiangere. Che sia necessario un cambiamento voi l’avete detto, anzi gridato, con la partecipazione del vostro essere non solo spirituale, ma anche con la forza espressiva del corpo e del corpo sofferente.
Alcuni momenti dello spettacolo hanno toccato situazioni lontane da noi, in cui la crudeltà dei persecutori e il dolore degli oppositori ci mostrano come ci siano luoghi ancora più degni di essere segnalati di quanto ci riguardi. Il bosforo, l’Europa e l’Asia, due mentalità, due religioni, una battaglia che ha preso a pretesto la ribellione al taglio di un bosco in città e che è smbolo di ben più profonde realtà.
Anche in questa vostra prova, apertamente dimostrativa e di lotta politica, avete usato la metafora di cui è ricco quel teatro che da anni praticate. Così le teste avvolte nei cuscini ovattati si sono aperte per far uscire – finalmente! – la meraviglia e la purezza ( ma non di tutti). Così il corpo del giovane nudo è stato preso a calci dagli scarponi chiodati lasciando impronte di fango e di sangue. Chi non ha pensato a un Cristo attuale, in quel corpo di passione che alla violenza non opponeva violenza?
Altri, altri ancora i segnali di questa appassionata lotta incruenta suggerita anche a chi sta nella bella platea confortevole e illusoria. Voi la percorrete con la provocazione del bacio scoccato qua e là, a stupire gli spettatori d’improvviso coinvolti. Certo, tutto si svolge a senso unico, è una manifestazione per mostrare che essere gay non deve dare motivi di discriminazione, chi non lo è non ha che da aderire a far sì che chi lo è non subisca violenze, non solo fisiche ma anche morali.
Sorprende e commuove il pianto delle due madri che elencano che cosa insegneranno al loro figlio perché cresca senza chiusure mentali. E le storie dei ragazzi suicidi – il fanciullino dalla sciarpa rosa usata come cappio ha la dedica della serata – è un accavallarsi di lettere che qualcuno – un amico?, un’amica?, un padre?, un insegnante? – dedica a chi ha deciso di andarsene per non sopportare il giudizio denigratorio dei compagni; non importa che cosa dica quella lettera, importa che la vittima venga presentificata dal rapporto che si mantiene nella memoria di chi lo ha conosciuto e lo rimpiange.
Il lavacro dell’acqua – quanta religiosità in voi, forse non ve ne rendete conto, ma è bello che l’abbiate, in forma naturale – arriva quasi alla fine, allegramente scaturendo da piccoli innaffiatoi infantili inesauribili.
E poi quell’invito alla gente che finalmente spezzi la barriera fra palcoscenico e platea – che è la barriera fra il rigore esistenziale e l’apertura di libertà – che venga a scrivere sulla lavagna bianca il nome di chi non c’è più, e avrebbe potuto esserci ancora. E giovani e anche maturi affollano la scena e come bravi bambini alla scuola scrivono il nome di qualcuno che hanno amato fino a che il foglio è pieno di quelle tante grafie evocatrici.