UNA CASA DI BAMBOLA

COPERTINA Casa di bambola - foto di Tommaso Le Pera

di Henrik Ibsen

traduzione, adattamento e regia di Andrée Ruth Shammah

con Filippo Timi

Marina Rocco,

Mariella Valentini

Andrea Soffiantini, Marco De Bella, Angelica Gavinelli,  Elena Orsini, Paola Senatore

spazio scenico Gian Maurizio Fercioni

elementi scenici Barbara Pedrecca

costumi Fabio Zambernardi – Lawrence Steele

luci Gigi Saccomandi

musiche Michele Tadini

Produzione Teatro Franco Parenti/Fondazione Teatro della Toscana

Teatro Argentina, 7 febbraio 2017

Maricla Boggio

L’adattamento di Andrée Ruth Shammah persegue un suo preciso disegno. Quello di “attualizzare” il testo di Ibsen almeno sotto due aspetti, quello del personaggio maschile e quello dell’onestà, di cui tanto oggi si parla. E per sostenere tale disegno, aggiunge, oltre alla sua drammaturgia, anche le musiche di forte attualità e alcuni comportamenti dei personaggi.

Per operare in questo senso pone sulle spalle istrioniche di Filippo Timi l’interpretazione dei tre personaggi maschili, affermando di sentirli come omogenei l’un l’altro, nella loro mascolinità: prevale nell’interpretazione, per un maggiore sviluppo di battute, il personaggio di Torvald Helmer – il marito – , mentre sono sacrificati a caratterizzazioni, per evidenziarne il ruolo, il dottor Rank attraverso elementi sanitari – il collo per la cervicale, una stampella – a giustificarne, mancando l’età del personaggio, la decadenza dovuta alla sifilide di derivazione paterna -, e il perfido ricattatore Krogstad, con basco calato sulla fronte e perenne masticazione di chewingum.

L’adattamento sacrifica almeno un paio di scene  in cui dovrebbero coesistere Torvald e Rank, in quanto Timi deve trasformarsi via via nei personaggi in scena. Sempre Timi prevale nel contesto rispetto a Nora per un debordante desiderio di “esserci”, per cui, ad esempio, la tarantella imparata nel viaggio risanatore in Italia che Nora dovrebbe ballare fino allo sfinimento,  è esibita dallo stesso Torvald con tamburello, mentre, naturalmente, Rank non può accompagnare la frenetica danza di Nora al pianoforte perché l’attore non può sdoppiarsi.  Facciamo questa osservazione perché il fatto di aver tolto a Nora questo momento di sfrenatezza disperata cambia il senso della scena e mostra come dotato di allegria e protagonismo giocoso Torvald, di solito visto, attraverso le sue battute, come più pacato e tradizionale nel comportamento.

Detto ciò, è da apprezzare l’intento drammaturgico di Shammah che privilegia un discorso emblematico della mascolinità superficiale rispetto ad una più forte e consapevole volontà femminile, che nel momento in cui, rivelato il comportamento di Nora come nocivo in assoluto al buon nome del marito – emerge da una lettera di Krogstad che la donna a suo tempo ha falsificato la firma del padre come garanzia per un prestito –   la copre di vituperi considerandola addirittura indegna di educare i bambini.

Il pericolo dello scandalo si rivela scongiurato perché Krogstad, per un inaspettato ritorno di fiamma con un’antica innamorata – la signora Linde, amica di Nora, priva di denaro e di affetti, presentatasi per chiedere aiuto e capace di sciogliere il cuore di Krogstad -rimanda il documento incriminato rinunciando alla vendetta.

Per Torvald è allora come se niente fosse accaduto, e Nora può tornare ad essere la sua “lodoletta” canterina, la sua bambola, insomma. E’ allora la bambola a richiamare il suo  banchiere – non a caso – rivelando come il discorso dell’onestà debba essere mantenuto, al di là delle svolte degli eventi. In nome di un’onestà calpestata lei se ne andrà da quella casa, questo è quanto emerge in una visione moderna di un personaggio tanto discusso, dal 1879 in avanti, da far scrivere alle signore di quegli anni, nei biglietti di invito nei salotti, che era proibito parlare di “Casa di Bambola”.  Si trattava allora di un discorso che atteneva alla morale borghese, alla insostenibile ribellione della donna, moglie e madre per giunta, alla incombente potestà maritale e paterna. Qui, secondo noi, emerge un comportamento femminile che sostiene la necessità del rispetto dell’onestà in campo pubblico, una volta che l’apparentemente frivola donna-bambina ha acquisito un valore prima ignorato e volutamente trascurato dall’uomo.

Gli attori, ciascuno con un suo stile, sostengono il difficile percorso della vicenda, immersi in una scenografia di Gianmaurizio Fercioni, che vuole sottolineare ciò che simbolicamente era già compreso, innalzando pareti trasparenti in una sinfonia di rosa in sete e velluti.

Timi ha invaso un po’ l’intera “partitura” e spesso si dimentica di assistere a “Casa di Bambola” in attesa di rivederlo a sorpresa, ansante e felice di aver fatto in tempo, con l’aggiunta di un tentativo di possedere Nora arrovesciata sul tavolo da pranzo: ma il protagonistico attore ammicca, diverte e la gente ci sta.

Come ci sta alle esibizioni della “lodoletta” Nora che Marina Rocco, con ostinata perizia porta poi, dal capriccioso bamboleggiamento – tutti a ridere in platea per i suoi pugnetti di rabbia sul divano –  alla consapevolezza di un imperativo morale. Mariella Valentini fa della Signora Linde una sorta di benevola “dea ex machina” dalla serena voce suadente, dotata poi di una forza erotica tale da rovesciare il povero Krogstad sopra di sé per un rapace amplesso anticipatore di future delizie.

Curiosa la presenza di una cameriera – Paola Senatore – , che forse ha ricordato a Andrée Ruth sue tate dell’infanzia dal tratto grettamente contadino, intinto di proverbi e detti misteriosi, e l’esibizione graziosa della bella Angelica Gavinelli, la figlietta brava ad arpeggiare.