LA ROSA NON CI AMA – CARLO GESUALDO V/S MARIA D’AVALOS

DE FEO COPERTINA IMG_0775

Carlos Gesualdo v/s MariaD’Avalos

di Roberto Russo

con Cloris Brosca e Gianni De Feo

scene e costumi Roberto Rinaldi

musiche Fabio Lombardi

regia Gianni De Feo

Roma, Teatro belli, 10 maggio 2019

Maricla Boggio

Certi fatti storici paiono segnare le epoche restando, come per un inconscio collettivo, a rivivere attraverso le ombre dei personaggi che ne furono protagonisti. Ombre o personificazioni che si concretizzano nell’aria notturna, davanti ai luoghi in cui avvennero i fatti. Indefiniti come indefinita ne è la memoria, tanto da parere barboni al riparo di una siepe davanti al fastoso palazzo del principe Carlo Gesualdo da Venosa, a Napoli,  fino a riprendere vigore di personaggi storici, con l’impulso irrefrenabile di raccontarla ancora e ancora quella loro storia disperata, lui quel Carlo Gesualdo così appassionato della moglie, Maria D’Avalos, da ucciderla avendo avuto la certezza del suo tradimento con Fabrizio Carafa, duca D’Andria, lei, innamorata del duca a cui chiese di continuare la loro storia anche dopo che il marito aveva minacciato di morte il duca se lo avesse trovato in casa sua. La sfida accende ancora di più l’orgoglio del Carafa, che si farà trovare nella camera di Maria venendo massacrato puntualmente.

All’interno di una cornice che contribuisce ad addensare la materia trattata dall’autore, Roberto Russo inserisce nell’invenzione di sapore dantesco –  il ricordo e l’espiazione ripetuta ogni notte da parte di Carlo Gesualdo, autore dell’assassinio, e di Maria D’Avalos – alcuni documenti in napoletano antico e in latino relativi alla vicenda, soprattutto per quanto riguarda gli atti del processo, che mandarono assolto Gesualdo dell’atroce duplice omicidio,   avvenuto nel 1592, venendo dal tribunale giudicato valido per questione di onore. Ma ci sono anche ampi spazi di dialoghi in napoletano antico, elaborati dal Russo, in cui con sapida capacità drammaturgica si fa parlare ora una fantesca al servizio di Maria, che in confessione rivela al prete la tresca fra la padrona e il Carafa, attribuendo a sé stessa il peccato di essere la mezzana degli incontri fra i due, ora un tremebondo pretino costretto a ricevere la sofferta confessione della donna, ora un sapiente e astuto Gesuita, o un’altra donna dal sapido eloquio napoletano popolare antico.

Accresce ancor di più il sapore truce della vicenda il fatto che Carlo Gesualdo, una volta a conoscenza degli incontri fra la moglie e l’amante, decide di vendicare il suo onore, ma, con la connivenza di un astuto Gesuita ordisce un losco trasferimento del duplice delitto a uomini prezzolati per eseguirlo materialmente. La freddezza con cui definisce il suo piano dimostra ancor di più quanto poco d’amore ci sia stato fra i due; forse Maria cercò l’amore nel Carafa, ma poi venne travolta dall’ambizione di legarlo a sé sfidando il rischio che venisse  ucciso.

Come sempre in teatro i personaggi più affascinanti sono quelli che tendono al negativo, e fra i tre questa tendenza prevale sul vero sentimento d’amore. Per questo forse, i due più toccati dall’evento – Carlo Gesualdo e Maria D’Avalos – devono scontare quel tormentato sentimento che oscillò fra l’amore e il tradimento, la passione vera e l’ambizione.   Ogni notte essi rivivono, nel mutare dei colori simbolo dei vari sentimenti dell’animo umano, la loro vicenda, degna davvero di un girone infernale, fino a che ogni antico tormento svanirà nel nulla.

È  una prova di notevoli capacità interpretative quella dimostrata da  Cloris Brosca e da Gianni De Feo, prima di tutto nel ruolo dei due protagonisti, ora nei toni della arditezza provocatoria del loro dialogare, poi nel calarsi in linguaggi di godibile e sorprendente novità, come il napoletano antico che Cloris Brosca manovra con sapienti mutazioni di colore e arcaiche emissioni vocaliche, mentre Gianni De Feo si moltiplica nei vari personaggi della vicenda con la disinvoltura di “mostrare” distaccato da sé ogni carattere da portare agli spettatori, con piglio luciferino o dolcezza intinta di rimpianto.

Ad arricchire l’interpretazione di Brosca e De Feo contribuivano i suggestivi costumi di Roberto Rinaldi  e le musiche adeguate ai vari stati d’animo di Fabio Lombardi.

Lo spettacolo dimostra una vivacità di antico stampo, un entusiasmo nel voler rappresentare che conquista gli spettatori coinvolgendoli in questa vicenda che, pur lontana di settecento anni, è storia di sentimenti ancora vissuti ai nostri giorni. E gli applausi non sono mancati.