GERMANIA ANNI ’20

copertina sepe IMG_3743

uno spettacolo di Giancarlo Sepe

con

Antonio Balbi, Sonia Bertin, Jacopo Carta, Chiara Felici,

Giuseppe Claudio Insalaco, Camilla Martini, Riccardo Pieretti,

Guido Targetti, Federica Stefanelli, Maria Luisa Zaltron

scene Alessandro Ciccone

costumi Lucia Mariani

musiche Davide Mastrogiovanni a cura di Harmonia Team

disegno luci Guido Pizzuto

Teatro La Comunità

Roma, 5 dicembre 2019

Maricla Boggio

Immaginato, elaborato, discusso e provato con i suoi dieci attori, “Germania anni ‘20” offre, di Giancarlo Sepe, la cifra che lo individua nel panorama degli artisti dei nostri ultimi decenni come

dotato di un particolare modo di vedere la storia, il teatro, l’opera d’arte.

Basta che si accendano le luci sul palcoscenico del Teatro La Comunità perché in pochi attimi si capisca che si tratta di un suo nuovo spettacolo, diverso, originale rispetto ai precedenti, ma uguale a loro, come uguali sono i quadri di Morandi eppure diversi l’uno dall’altro, e subito distinguibili da altre allettanti bottiglie.

Come in altri precedenti spettacoli, il linguaggio originale attrae Sepe come  espressione irrinunciabile.

Questo “Germania anni ‘20” scaturisce da una interminabile serie di momenti di creazione e di prova poi condivisa con i dieci attori. Molto è il tedesco che anima le varie scene, dove i simboli di un avvicendarsi di eventi a partire dalla prima sconfitta di guerra agli inizi del Novecento costruisce intorno alla gioventù tedesca, speranzosa e presto delusa, una sorta di fitti eventi sempre più  immersi nel delirio, da cui a sua volta si fa strada la violenza e la follia. La narrazione è spesso corale, e i dieci attori creano con i loro corpi illusioni di felicità  e di grandezza in una danza frenetica, dove a tratti emerge qualche personaggio, emblematico di un’epoca dove la cultura del teatro, della pittura, dell’architettura e del cinema paiono aprire orizzonti attraenti;  sono invece i fantasmi della miseria e della prostituzione ad avanzare come preludio a quel nazismo ancora ignorato ma alle porte. Giovani donne si  prostituiscono agli angoli delle strade, ragazze illuse vengono uccise e poi depredate dalla famelica avidità dei passanti; l’illusione di un futuro di gioia attraverso l’unione di una coppia viene subito distrutta. Sono colori forti, rosseggianti sul nero degli sfondi sopra i quali emergono mostruose mura semidistrutte, a caratterizzare questa pittura di cui avverti perfino l’odore. Gli attori cambiano abiti e trucchi, gioielli e acconciature con la velocità metodica di chi ha imparato questo genere di interpretazione come in un’accademia di danza. La lingua tedesca fluisce dalle loro bocche nei dialoghi e nei canti, a duetto o in coro, sopra le musiche di Kurt Weill e di Hanns Eisler che imparammo a conoscere nei Brecht di Strehler, qui al contrario offrendo un sentore di prevaricazione e di vizio, come l’insistita presenza del casino dove la famosa danzatrice bisessuale si esibisce con ostentato uso di sostanze stupefacenti.

La repubblica di Weimar ha congedato l’impero, ma è illusoria la sua libertà. Tutto si corrompe sotto il segno di un ormai vicino nazismo. C’è anche un accenno al tentativo di entrare in contatto con un’America tentatrice, attraverso l’allegria delle sue musiche e dei suoi charleston. Ma ormai la corruzione si insinua nelle giovani vite e la tentazione di trovare il nemico e di combattere di nuovo è forte, tanto che gli ebrei fuggono inseguiti ormai dalla turba prima festosa e adesso temibile e crudele. E la rutilante serie delle immagini falsamente festose piene di colori e di suoni, lascia di colpo il posto a una statica apparizione cupamente nera, di gente sul punto di raggiungere una meta mortuaria senza più alcuna voce. Si rimane con il fiato sospeso, nel timore di quello che accadrà. Sepe lo lascia immaginare, forse anche suggerendo che quel che è accaduto potrebbe ripresentarsi, anche qui, da noi.

Sono, queste che accenno a descrivere, momenti di un tessuto sonoro- visivo e descrittivo che appartengono a un mondo immaginario caratteristico di Giancarlo Sepe, che tuttavia impone a questa sua fantasia, sostenuta corporeamente dagli attori, una struttura politica di grande impatto alla riflessione di chi vi assiste.

Sarebbe importante che Sepe, riflettendo come sempre fa prima di affrontare un argomento storico e una scelta poetica, pensasse un giorno alla nostra storia, alla nascita, morte e pericolosa resurrezione del fascismo in Italia.