I DUELLANTI

DSC_8402bdi Joseph Conrad

traduzione e adattamento di Francesco Niccolini

drammaturgia di Alessio Boni e Roberto Aldorasi

Marcello Prayer Francesco Niccolini

con Alessio Boni

Marcello Prayer e Francesco Meoni

violoncellista Federica Vecchio

maestro d’armi Renzo Musumeci Greco

musiche Luca D’Alberto

scene Massimo Troncanetti

costumi Francesco Esposito

light designer Giuseppe Filipponio

regia di Alessio Boni e Roberto Aldorasi

Roma, Teatro Quirino, 23 febbraio 2016-02-23

Maricla Boggio

Da un coacervo di elementi verbali e gestuali di qualità si sviluppa questo spettacolo fortemente voluto da Alessio Boni che, per realizzarlo, ha costruito intorno e insieme a sé un cospicuo numero di collaboratori, a tirar fuori un testo per il palcoscenico dal famoso e psicologicamente complesso racconto di Conrad, che ispirò quasi cinquant’anni fa il film omonimo, prima regia di Ridley Scott.

Qui è privilegiato l’aspetto introspettivo, l’evoluzione mentale che si sdipana dallo scontro che due ufficiali dell’esercito napoleonico tengono per alcuni anni durante la vita militare attraverso diciassette duelli, senza che mai prevalga in maniera definitiva l’uno o l’altro dei due.

La dimensione e il linguaggio teatrali riportano al suo diapason il tema della rivalità mimetica così cara a René Girard. L’irrisoluzione  del duello fra i due diventa metafora della necessità di avere sempre vivo il proprio nemico, l’unico che non ti tradirà mai e di cui hai bisogno per vivere le tue angosce e la tua volontà di esistere creandoti uno scopo.

Diventa quasi un gioco infantile quello degli incontri fra i due, animati da passioni differenti: d’Ubert – Alessio Boni – di nobile famiglia del Nord della Francia, sicuro di sé, lusingato e al tempo stesso infastidito dalle provocazioni del tenente Feraud – Marcello Prayer – della sua stessa compagnia ma di origine popolana e proprio perciò incline a riscattarsi da quella mancanza di nobiltà che lo limita nel successo militare a prezzo di fatiche e di imprese rischiose.

In questa semplificazione delle azioni che vanno dai duelli in tempo di pace ai climi di guerra in territorio nemico, si afferma una modernissima visione del teatro fondata soprattutto sull’espressività dell’attore. Alessio Boni ha messo in pratica, come fa da sempre, gli insegnamenti di Orazio Costa con cui si è formato in Accademia in due memorabili anni finalizzati a un lavoro su Amleto, e Marcello Prayer ha messo a frutto la Scuola realizzata a Bari dal Maestro. Questo modo di affrontare il personaggio si avverte attraverso la valorizzazione della parola e la volontà di trarre dal corpo una capacità di comunicare non solo ciò che occorre ginnasticamente nell’arduo scontro del duello – molte le lezioni del maestro Musumeci Greco finalizzate a suggerire le mosse ai duellanti -, ma quello che il corpo esprime nel suo  disporsi al rapporto con l’altro, dove attraverso il duello sono i sentimenti ad affiorare e a creare la diversità del rispettivo vivere quella stessa tenzone.

In realtà la bellezza dell’insolita avventura, che attraversa il periodo napoleonico e arriva alla restaurazione imperiale, è una metafora dell’animo. Ciascuno di noi può sentirla come sua senza immedesimarsi in un duello con un avversario di spada; è la rivalità che si impadronisce a vari livelli e in circostanze diverse di ciascuno di noi, volendo quello che appartiene all’altro, fino a che l’altro ne avrà il possesso e gliene importerà.

Conclusosi il periodo napoleonico, d’Hubert chiede al Ministro del nuovo regime di risparmiare l’indomito Feraud condannato a morte; il suo gesto, che lui vuole resti segreto, parrebbe un atto di generosità, ma non è così. Feraud liberato ripropone il duello, rinnovando l’eterno scontro. E quando d’Hubert non uccide – e potrebbe – il suo rivale vinto che di essere ucciso implora, non è anche qui un atto di generosità a farlo agire così, ma la necessità di avere tutto per sé quel nemico che per tutta la vita lo ha perseguitato, dandogli tuttavia una ragione per esistere, e di averlo ormai impotente a reagire di fronte a un codice d’onore che non può essere disatteso. Lo avrà eternamente per sé, a riempirgli, anche di lontano, una vita altrimenti votata soltanto a superficiali comportamenti borghesi. C’è poi ancora un risvolto della storia: Feraud non è altro che il medico che cura le immarginate ferite di d’Hubert: mutato, reso saggio ma anche vendicativo, si ripresenta in questa nuova veste, taumaturgica.

Insieme ai due attori recita Francesco Meoni facendo suoi i personaggi utili al proseguimento della storia, e lo fa con convinta e giocosa capacità ludica, mentre la bella Federica Vecchio che funge anche da bella contesa offre dal vivo l’evocante suono del suo violoncello a sottolineare i momenti cruciali del duello.