IL MERCANTE DI VENEZIA

di Willim Shakespeare

con Giorgio Albertazzi

scene Paolo Dore

costumi Daniele Gelsi

consulenza storico letteraria Sergio Perosa

regia Giancarlo Marinelli

 

con

Franco Castellano, Stefania Masala, Cristina Chinaglia, Simone Vaio, Francesco Maccarinelli, Ivana Lotito, Vanina Marini, Gaspare Di Stefano, Diego Maiello, Alessandra Scirdi, Erika Puddu

 

Ghione Produzioni

Roma, Teatro Quirino, 21 ottobre 2014

 

Maricla Boggio

E’ una sorta di svagata riflessione sul mondo, di stream of consciousness yociana che anima il personaggio dello Shylock di Giorgio Albertazzi, proposto dall’attore attraverso una fedele rappresentazione de “Il mercante di Venezia”, in scena con un cospicuo numero di attori a circondarlo vivacemente, in contrasto con la bolla di cristallo in cui il personaggio è calato, a difendersi da un mondo ostile e odiato, popolato di cristiani. Soltanto la figlia lo tiene legato al mondo, pur in una gelosa custodia di lei. E la figlia fuggirà, per unirsi a quei cristiani tanto odiati.

E’ una lettura del testo che offre al pubblico la sostanza corposa del dramma shakespeariano, e in  tempi in cui le rielaborazioni tendono a svilire il testo a vantaggio delle misere ideuzze dei registi-adattatori, intanto lo spettacolo viene servito tutto intero, e la gente ci sta e si diverte. Semplice la scena, di Paolo Dore: un ponte a cavallo di un rio, che diventa casa dell’Ebreo, luogo di incontri amorosi, castello di Porzia e tribunale con pochi accorgimenti di luci e qualche proiezione di uccelli di troppo.

Girano, intorno all’assunto divenuto centrale attraverso la presenza incombente di Albertazzi, gli altri personaggi con i loro affari, primo fra tutti la richiesta di un prestito da parte di Bassanio al maturo amico Antonio – un autorevole e disponibile Franco Castellano -, commerciante con navi in varie parti del mondo, per conquistare la bella Porzia. Ma le navi sono in mare, e Bassanio si abbasserà a chiedere il presto a Shylock, da cui la famosa richiesta della libbra di carne del suo corpo in caso di insolvenza allo scadere dei tre mesi del prestito.

Ecco le scene di Porzia – una spiritosa Stefania Masala –  con le sue confidenti e ancelle, in attesa che fra i pretendenti venga quello che indovinerà lo scrigno giusto deciso dal padre per ottenerne la figlia in sposa, e così via con i tentativi da fiaba dei tre – piuttosto da farsa – a vincere la ricca ereditiera, finché naturalmente ce la farà Bassanio, giunto carico di regali e di bella presenza a conquistare la sua dama, insieme al fido Lorenzo innamorato della confidente di Porzia,  Nerissa. Intanto Lorenzo – nitido nel personaggio Simone Vaio –  aiuta la bella ebrea Jessica- la vivace Ivana Lotito –  a scappare dalla casa paterna con un bel bottino di gemme e oro, decisa a farsi cristiana e a sposare il suo bello. Nel testo mantenuto aderente alla scrittura shakespeariana Albertazzi si è divertito a inserire piccoli guizzi erotici con tanto di strofette, battutine e balletti da odalische, nonché salaci squarci di amplessi fra le fanciulle al seguito di Porzia e i pretendenti resi intontiti da bevande e sesso, in modo che la loro padroncina possa con certezza planare fra le braccia di Bassanio. Sono licenze leggere che vanno ad assommarsi al tipo di regia un po’ da musical che sviluppa la commedia. Nel personaggio di Lancillotto, una specie di zanni dalla movenze aggraziate va ricordata Cristina Chinalglia, esatta e con un di più personale nel creare il personaggio. Ciò che rimane intatto nel contesto un po’ mésaillance è lo Shylock di Albertazzi, nel suo disinteresse distaccato da ogni pur tragico avvenimento, come la fuga della figlia, che lo addolora ma non lo atterra, così come il furto di quasi tutti i suoi beni. Altrettanto avviene al momento del processo, dove la sua vendetta sta per compiersi, nei confronti dell’indifeso Antonio a cui le navi sono – pare – affondate, e risulta quindi costretto a pagare con la sua carne il debito contratto. Come non accetta il pagamento triplicato offertogli dall’ormai ricco Bassanio a salvezza di Antonio, preferendo la sua sanguinaria vendetta, così, una volta riportato alla legge veneziana dal saggio avvocato – Porzia nelle vesti del furbo leguleio – che gli impone, se tasglierà la carne, di non versare nenache una goccia di sangue del cittadino veneziano, Shylock-Albertazzi non si dispera poi tanto, pur essendo condannato ad essere spogliato di ogni suo avere per aver attentato alla vita di un veneziano: rimane in quella sorta di ironico distacco, di constatazione dell’ineluttabilità degli eventi, e della mancanza di giustizia nel mondo. Epicamente, Albertazzi ci mostra il suo disincantato Shylock,  e si allontana frettoloso e indifferente al dolore così come alla gioia. Ma i giovani faranno festa, e si ameranno, costituendo le tre coppie che si prevedeva. Nella poetica di Albertazzi l’amore dei  giovani rimane l’unico bene.