IL PIACERE DELL’ONESTA’

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di Luigi Pirandello

con Geppy Gleijeses

Vanessa Gravina, Leandro Amato, Maximilian Nisi

Tatiana Winteler,  Giacarlo Condè, Brunella De Feudis

scene Leila Fteita

costumi Lina Neri Taviani

luci Gigi Ascione

musiche Theo Teardo regia Liliana Cavani

Gitiesse Artisti Riuniti – Fondazione Teatro della Toscana

Roma, Teatro Quirino, 3 aprile 2018

Maricla Boggio

Sono passati cento anni dalla prima rappresentazione di questa commedia, che andò in scena a Torino, al teatro Carignano, nel novembre 1917, protagonisti Ruggero Ruggeri e Vera Vergani. E chi la recensì, allora, fu Antonio Gramsci, sull’Avanti!, segno che il teatro, in quegli anni, era considerato come interprete insostituibile della società, e sua coscienza critica.

Di Pirandello scriveva Gramsci:

“C’è nelle sue commedie uno sforzo di pensiero astratto che tende a concretarsi sempre in rappresentazione, e quando riesce, dà frutti insoliti nel teatro italiano, d’una plasticità e d’una evidenza fantastica mirabile. Così avviene nei tre atti del Piacere dell’onestà”.

È importante ricordare questo scritto di Gramsci, se consideriamo quanto il costume morale della società sia cambiato in questi cento anni. Ma sulla trama , che confinerebbe la situazione della commedia a un tema legato a una moralità variabile a seconda dell’epoca, Gramsci non si sofferma, andando più nel profondo dell’argomento trattato, e facendone una questione legata alla dignità della persona, all’onestà intesa come necessità intrinseca dell’esistenza, senza la quale si è soltanto misere bestie schiave dei propri istinti e dei propri vizi.

Ecco allora come la scelta di Geppy Gleijeses si libera dal problema di una adesione legata ai tempi ed ai costumi, e si fa testimone di quel “pensiero astratto” citato da Gramsci, facendolo concretarsi in rappresentazione.

E la rappresentazione si sviluppa senza problemi di falsi adeguamenti, nella assoluta fedeltà dell’epoca che l’ha partorita, e che diventa, in questo caso, astrazione necessaria perché essa si crei portandoci poi dalla sottigliezza del pensiero astratto alla trascinante irruenza del sentimento, quando esso può palesarsi avendo sgombrato il campo dagli equivoci della rispettabilità e di tutti gli intrighi ad essa connessi.

Raccontare la trama? Se la leggano i lettori, o meglio vadano a teatro a seguirla facilitati dalla regia di Liliana Cavani, che ha guidato il già di per sé astuto e attento Geppy a tener dietro al suo personaggio, quel Baldovino ai margini della rispettabilità che accetta di far da marito alla fanciulla messa incinta dall’amante sposato, apparentemente per sistemarsi, in realtà poi risvegliato in un desiderio di riscatto a fare una volta nella vita una cosa “giusta”, comportandosi con onestà ed esigendo anche dagli altri un analogo rispetto di essa.

Quando finalmente l’adamantina  e addirittura petrosa figura di Baldovino si scioglie in quella denuncia della propria carne “che ha gridato” – come tante volte grida attraverso i suoi personaggi Pirandello uomo – è un bel finale che mette il cuore in pace e manda a casa contento il pubblico. Ma ciò che conta è lo sviluppo filosoficamente logico che Baldovino tiene in mano per tutti e tre gli atti, dando  a quella astrazione  – citando ancora Gramsci – una rappresentazione in cui allora conta l’arte dell’attore, il suo guardare di sottecchi rigirando fra le mani la falda del cappello, il suo scandire le parole perché anche chi non ha l’abitudine a intenderne il significato vi si soffermi ed entri nel ragionamento che modifica l’ovvietà in riflessione necessaria, fino alla piena dei sentimenti che allora, come quando dal buio di una superficie nera emerge un luminoso tratto bianco, risalta mostra tutto il suo valore.

Nella linea rigorosa del protagonista anche gli altri interpreti svolgono con perizia i loro ruoli. Vanessa Gravina ben denuncia il suo dramma di ragazza in pericolo per la sua gravidanza fino ad una presa di coscienza che la trasformerà in persona pensante e innamorata. Leandro Amato sfrutta al meglio il suo irritato amante ben più preoccupato del suo buon nome che della ragazza a rischio di pettegolezzo. Tatian Winteler delinea con foga una madre ben consapevole dei costumi spietati della piccola società borghese a cui appartiene, e Maximilian Nisi con apparente distanziazione fa da arbitro e tramite fra l’amico impicciato e l’antico compagno di scuola Baldovino. Una segnalazione particolare va fatta per il Parroco di Santa Marta interpretato da Giancarlo Condè, che di quell’incontro con la famiglia per concertare il battesimo del bambino fa davvero un capolavoro di astuzie, ragionamenti sofistici, conoscenze liturgiche e cautele nutrite di antica sapienza.