LA COMMEDIA DI GAETANACCIO

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di Luigi Magni

musiche originali Gigi Proietti Piero Pintucci Luigi Magni

con Giorgio Tirabassi e Carlotta Proietti

e

Carlo Ragone Elisabetta De Vito

Daniele Parisi Marco Blanchi Enrico Ottaviano

Matteo Milani Piero Rebora Martin Loberto Viviana Simone

Musicisti in scena

Massimo Fedeli Diego Bettazzi

Stefano Ratchev Claudio Scimia

Costumi e burattini Santuzza Calì

Scene Fabiana Di Marco

Light designer Umile Vainieri

Sound designer Manuele Terralavoro

Vocal Coach Maestro Massimo Fedeli

Coreografie Ilaria Amaldi

Regia Giancarlo Fares

Teatro Eliseo, Roma, 22 febbraio 2019

Maricla Boggio

Sono passati quarant’anni dal debutto de “La commedia di Gaetanaccio” che Luigi Magni scrisse dietro quella sua ispirazione di andare a riprendere storie della ottocentesca Roma papalina per riportarne alla luce il sapore irridente e ironico del popolo di fronte ai soprusi del potere vaticano, che ha offerto in più occasioni capolavori in cinema e poi anche in felici trasposizioni teatrali.

Qui la “commedia” parte dallo spettacolo, e ha per protagonista un prototipo del popolo romano, quel Gaetanaccio che all’apparenza semplice e incolto rivela sottotraccia la fine sagacia di un personaggio alla Gioachino Belli. Gaetanaccio è impedito dagli editti papalini di fare il suo mestiere di uomo di teatro, ogni suo tentativo viene immediatamente bloccato, così come accade a Nina, la sua fidanzata, la cui compagnia deve lasciare la città per andare a cercare altrove la possibilità di mettere in scena le sue commedie.

La storia così impostata si gode ad un livello di lettura immediata, perché i tentativi di continuare a lavorare in teatro da parte di entrambi i protagonisti danno spunto a innumerevoli situazioni a contrasto con questa loro volontà. Ci si mettono le guardie, poveri disgraziati anche loro, che hanno abdicato alla libertà per un ossequio che gli consenta un  misero stipendio. Ci si mettono gli alti prelati che attentano alla virtù di Nina – e con lei di tutte le belle ragazze della città – cercando di barattarne la virtù per una cena ben servita. E ci si mette addirittura il papa, uno gnomo su di un altissimo trono, che della sua dignità ha perso ogni traccia e non vuole altro che essere divertito da chi, come Gaetanaccio, è disposto a fare spettacolo davanti a lui, ma che si ribella all’ossequio preferendo la fame che lo perseguita come un’atroce condanna. Perfino la Morte si presenta davanti a Gaetanaccio, ma nell’immaginario dell’attore anche lei è presenza di vita, di gioco, di duello a scommessa: è una bella donna che scherza e accetterà perfino di essere vinta, quando, dopo infinite vicende generatrici di equivoci e sorprese, Nina starà per morire, trafitta da un pugnale e trascinata nelle vorticose acque del Tevere.

Nella storia di Gaetanaccio hanno parte determinante i comici, sia quelli romani che quelli che arrivano da fuori, alla ricerca di un territorio adatto alle loro recite. Fra questi un Fiorillo figlio di Pulcinella- in realtà Pulcinella aveva lui stesso questo nome – che solidarizza con Gaetanaccio nella comune disperazione per la fame, ma si rivela poi una sorta di vendicatore, perché tenta di uccidere un alto prelato e poi per una serie di situazioni colpisce anche la povera Nina.

Contraddizioni e avventure, riferimenti e ammiccamenti nello svolgersi della storia, che il regista Giancarlo Fares conduce  con mano sicura e ritmi precisi, danno vita a momenti di rara bellezza nel felice articolarsi delle scene di danza, di canto – con la musica dal vivo che si intravede nei suoi interpreti in scena, sullo sfondo, quasi a suggerire un sogno incombente -, di azioni mimiche che trovano valorizzazione negli splendidi costumi reiventati da Santuzza Calì da un passato storicamente impeccabile a una trasfigurazione ripensata  all’attuale.

Tutto questo darsi da fare per sopravvivere, nonostante i soprusi e l’avvilimenti di chi lavorando vuol dimostrare ridendo la volontà di prevaricazione dei potenti, lancia qualche richiamo alla situazione attuale, diversa certo da quel potere di vita e di morte che Magni ha messo in scena, ma analoga nell’assunto circa la costrizione di chi è sotto di lui.

Si tratta di una commedia, in sostanza è il gioco che consente il divertimento, e al gioco stanno con straordinaria simpatia gli interpreti, a cominciare da Giorgio Tirabassi, che dal suo Gaetanaccio, a suo tempo impersonato da Gigi Proietti, fa un personaggio suo, forse più ironico e possibilista. E c’è Carlotta Proietti che con disinvoltura si lancia nel personaggio indomito di Nina, fra la recitazione provocatrice a duetto con Gaetanaccio e le tante canzoni che scandiscono l’intero spettacolo. Da citare per la loro originalità il Fiorillo comico-tragico di Carlo Ragone, allucinato e magico, e la Morte di Elisabetta De Vito che con la sua falce ha parvenza di una giustiziera da Rivoluzione.  E ancora la temibile autorità del rosso Porporato di Marco Blanchi, e il Meo Patacca e  il Papa del multiforme Enrico Dragone.

Un’attenzione particolare va attribuita non solo ai costumi già citati, di Santuzza Calì, quanto a quella sua invenzione, davvero sorprendente, dei burattini di Gaetanaccio che, dalla piccola dimensione in cui vivono nel teatrino del loro padrone, diventano ciascuno la marionetta di un personaggio della commedia, e oscillando birichini dall’alto del palcoscenico scendono poi a prendersi anche loro gli applausi.

Assai bravi tutti quanti, nel divertire e nel far riflettere, come non poteva mancare in un testo di Gigi Magni, a cui il sorriso nasceva da una amara constatazione delle alterne vicende della vita.