LA TEMPESTA

IN TESTA La tempesta con Carpentieri

traduzione Nadia Fusini

adattamento Roberto Andò e Nadia Fusini

regia Roberto Andò

Prospero Renato Carpentieri

Miranda Giulia Andò

Ariel Filippo Luna

Calibano Vincenzo Pirrotta

Ferdinando Paolo Beriguglia

Gonzalo, Iris Gianni Salvo

Trinculo, Antonio Paride Benassai

Stefano, Alonzo Francesco Villano

scena Gianni Carluccio

costumi Daniele Cernigliaro

musiche originali Franco Piersanti

flautista Roberto Febbriciani

suono Hubert Westkemper

Produzione Teatro Biondo Palermo

Teatro Vascello, Roma, 10 gennaio 2020

Maricla Boggio

Tino Carraro, il Prospero di Strehler, alla fine dello spettacolo spezzava la bacchetta magica, un gesto che allora fece molto discutere, perché poteva essere interpretato in vari modi, dalla rinuncia alla magia, alla sfida a riconoscersi nella dignità dell’uomo padrone di sé stesso e delle proprie possibilità.

In questa edizione firmata dalla regia di Roberto Andò, che ne assume l’adattamento insieme a Nadia Fusini anche traduttrice, il nome di Shakespeare è scomparso, forse per l’implicità della sua presenza, o per un gesto di pudore a volersi assumere la responsabilità di una dimensione del tutto personale, anche se motivata dall’approfondimento del testo in certe sue riflessioni che già gli appartengono, ma che fino ad oggi sono state tenute quasi celate fra le pieghe delle parole.

Perché Shakespeare c’è tutto in questo spettacolo, ma c’è molto di una visione dell’esistenza e dei suoi valori che Andò  espone con la freschezza di una semplificazione, a partire dalla struttura delle scene e dalla loro resa sintetica, in cui il personaggio di Prospero diventa la coscienza critica della rappresentazione, assumendo su di sé la parabola della sua stessa esistenza, intrecciata a quella che furono suoi amici e parenti, poi nemici e traditori, mentre è la figlia Miranda a diventare il personaggio con cui il padre dialoga, portando gradualmente in lei la consapevolezza di quanto avvenuto negli anni dell’esilio fortunoso, e affidandole il futuro, nella speranza che esso sia indenne dalle ingiustizie da loro patite. Renato Carpentieri imprime al suo mago quello che Roberto Andò voleva rappresentasse,  “memore di quell’accento che ancora si ritrova in certi preziosi e isolati intellettuali del Sud, mossi da una disperata intelligenza, e, insieme, da una infinita diposizione al fantasticare, offesi dall’intollerabilità del reale, ma vocati a una dolente dolcezza, a un indomabile furore”. Proprio in questa dimensione a cavallo fra realtà meridionale e necessità narrativa, Carpentieri trova il tono giusto per dialogare con sé stesso, ma anche con Miranda sua erede, e poi con il pubblico, senza il quale non basta la propria salvezza e conversione, ma deve anch’esso esserne coinvolto e convinto.

L’ambiente casalingo e disadorno di una casa disastrata, che ci introduce alle tante calamità attuali, suggerisce un tipo di magia non favolistica, ma possibile attraverso i libri che si ammonticchiano sui letti ospedalieri poggianti su di uno strato d’acqua che scorre inarrestabile dall’alto, una Venezia di periferia dove è la mente a immaginare e la voce a raccontare. La voce di un vecchio saggio maturato dalle avversità che, anziché meditare la vendetta tanto cara ad altri personaggi shakespeariani, qui educa dentro di sé, pur con lenta progressività, il senso necessario del perdono nei confronti di chi lo ha privato di ogni cosa.

La modernità dell’assunto centrale, questo senso di carità che deve imporsi nel mondo altrimenti non sarebbe possibile una sopravvivenza, si va delineando attraverso i vari momenti che Prospero ha deciso di far vivere ai viaggiatori della nave che con la forza della sua mente ha fatto loro credere di essere naufragata sull’isola dove abita con Miranda.

Di grande vivacità inventiva, l’Ariel di Filippo Luna, una sorta di volatile maggiordomo in perenne movimento che dal personaggio abituale trae una versione nuova e furbetta, pronto ad ogni comando di questo Prospero saggio ma determinato a farsi obbedire. Il Calibano di Vincenzo Pirrotta è reso più umano che nella versione tradizionale, è un loquace bambinone giocoso, disposto a far combutta con il Trinculo di Paride Benassai e lo Stefano di Francesco Villano, scatenati in fantasie da scugnizzi maldestri e ubriaconi.  È Miranda – Giulia Andò tenera ma anche severa come una Porzia – il fulcro del rinnovamento, la cui bellezza d’animo e di aspetto coadiuva il padre nel raggiungimento del perdono per i traditori insieme all’apporto dell’onesto Gonzalo – Gianni Salvo – salvati da Prospero. L’amore di Miranda per Ferdinando – Paolo Briguglia molto Romeo – consente a Prospero, dopo la riconciliazione con gli antichi nemici, di ritirarsi da ogni magia, sia pure mentale. Abbandonata l’ormai inservibile bacchetta, svestito il mantello animatore di ogni sortilegio, il vecchio saggio intellettuale indossa cravatta e camicia, dialogando con il pubblico come un personaggio goldoniano che chiede agli spettatori se si sono divertiti. Ma qui Prospero- Carpentieri chiede agli spettatori partecipazione a quello stato d’animo non ancora abbastanza acquisito, della pietà condivisa, che consente il dialogo e allontana la morte.