LE INTELLETTUALI

LE INTELLETTUALI
di Molière
con
Sonia Barbadoro, Monica Belardinelli, Giovanni Carta, Carlo Di Maio,
Valentina Martino Ghiglia, Elisabetta Misasi, Alessandra Muccioli,
Libero Sansavini, Francesco Siciliano, Remo Stella
scena di Bruno Buonincontri, costumi di Metella Raboni
regia di Adriana Martino
Produzione L’Albero Teatro Canzone
Teatro Belli, Roma dal 28 gennaio 2015

Maricla Boggio

E’ una gran festa vedere in scena dieci attori, in tempi così difficili. Già questa constatazione dimostra il coraggio di una compagnia che si cimenta con un testo bellissimo, “Les femmes savantes” che Molière scrisse negli ultimi tempi della sua esistenza e rappresentò nel 1672, poco prima della morte.

Commedia salace, svincolata da tematiche legate alla corte e al potere, ma segnata da riflessioni che l’autore sviluppò liberamente, indagando su situazioni che minavano dall’interno la società francese, specie di quella classe borghese che doveva costituire la struttura portante della società e tendeva invece a un disfacimento dettato da false ambizioni, malintese finalità culturali, degrado di rapporti parentali.
Il tipo di critica che Molière pone a segno la ritroviamo in parte oggi nel teatro di Eduardo, nelle sue amarezze incentrate sui valori familistici e sulla corruzione sociale in ben più agri modalità perché, in tre secoli e più, i costumi non sono certo migliorati. Ma la materia è sempre quella, e la modernità del testo emerge nell’acuta regia di Adriana Martino che ha impresso nei ruoli la caratterizzazione dei vizi tanti e delle poche virtù che animano la drammaturgia molieriana. Ha lavorato con gli attori tenendo conto delle qualità di ognuno attingendo dalla loro fantasia e incanalando ogni interpretazione nel suo progetto espressivo, lavorando con perizia sulla traduzione di Cesare Garboli, dal linguaggio schietto, che a tratti lascia intravedere i versi dell’originale, ma privilegiando una parlata in prosa, nella quale far emergere poi i momenti di leziosa letteratura che costituiscono uno dei temi dell’opera su cui si appunta la critica dell’autore.
In un ritorno al rigore strehleriano, ecco gli attori tutti in reciproca sintonia entrare in teatro sfilando a mostrarsi al pubblico; semplici e allusivi i costumi – di Metella Raboni -, nel fondo un grande affiche dove campeggia una donna invasiva, pugnale fra le mani – scena di Bruno Buonincontri – e via subito il dialogo fra le due ragazze, Armande votata alla filosofia, Henriette che vuole sposarsi al più presto. Il tema della rivalità mimetica studiato da René Girard si manifesta a tutto campo fra le due: il giovane Clitandre esasperato dalla frigidità filosofica di Armande ha scelto la sua più disponibile sorella, ma è proprio questa scelta a far scattare la rivalità fra le due: quello che adesso ha Henriette, lo vuole Armande che prima l’ha rifiutato, ma che ora è diventato prezioso perché è in possesso dell’altra.
La rivalità mimetica si espande anche in altri campi. Philaminte e Bélise, madre e zia delle ragazze, sono pazze per i componimenti letterari di Trissotin, che sbrodola sonetti insulsi quanto raffinati, e considerano della massima importanza la purezza del linguaggio, al punto da licenziare Martine la cameriera perché, ribelle ai loro insegnamenti, continua a usare le sue espressioni dialettali. Vaso di coccio fra le due, impotente a esercitare la sua potestà di paterfamilias, Chrysale, padre delle ragazze, è succube della moglie, che ha deciso di sposare Henriette al melenso Trissotin. Si intrecciano i temi del complesso lavoro molieriano, perché ogni vicenda converge alle altre in un coacervo geniale di situazioni, difficili da descrivere senza impoverirle.
Se Bélise è fuori di testa per l’amore alle lettere, lo è ancor di più nella convinzione di essere desiderata da ogni uomo, compreso Clitandre che per un momento l’ha trattata con gentilezza per averne appoggio alla richiesta di sposare Henriette. Il clima di tensioni e di equivoci arriva al suo diapason quando Ariste, venendo in aiuto al fratello Chrysale, porta due lettere in cui si dichiara per la famiglia una duplice perdita di tutti i suoi averi: Trissotin ritira la sua richiesta di sposare Henriette, mentre Clitandre generosamente si offre di sostenere con i suoi averi la disgraziata famiglia. Ma la rovina economica si rivela poi un trucco escogitato da Ariste per mettere alla prova la sincerità dei sentimenti da parte dei due pretendenti. A sorpresa ritornata, Martine con il suo linguaggio popolare sostiene le ragioni del padre a decidere per la scelta dello sposo e tutto si conclude con quella gioiosa felicità che Molière riesce a trovare anche sviluppando componimenti che come questo mostrano i lati negativi di una società che ha tradito i suoi doveri.
Non era facile offrire al pubblico i lati contradditori di tanti personaggi, e Adriana Martino ci è riuscita facendo leva sulle qualità di ogni attore: Sonia Barbadoro – la svaporata Bélise -, Francesco Siciliano – il pavido Crysale -, Valentina Martino Ghiglia – la dispotica e letterata Philaminte; Monica Belardinelli – la rigida e ipocrita Armande -, Giovanni Carta – il lezioso e diavolesco Trissotin -, Elisabetta Misasi – Henriette dura come l’acciaio sotto l’apparenza querula -, Carlo Di Maio – una sorta di deus ex machina nei panni di Ariste -, Libero Sansavini – l’erudito Vadius di grande tenuta poi giocosamente anche Notaio -, Remo Stella – che con piglio modernissimo anima il giovane Clitandre -, per finire con Alessandra Muccioli, che imprime alla cameriera Martine la novità di una perorazione in dialetto staccata dal contesto a cui aggiunge una furiosa comicità.
Lo spettacolo avrà successo, ne sono sicura , e il successo è ben meritato.