SEGRETALUCE

nel laboratorio di Madame Curie

Testo e regia di Riccaedo Diana

con Barbara scoppa, Carlotta Mangione, Camilla Diana

scene e costumi di Maria Toesca

musiche a cura di Marcello Fiorini

coreografie di Giovanna Gallorino

Roma, Teatro Vascello, 4 e 5 febbraio 2015

 

Maricla Boggio

La storia di Maria Curie, attraverso gli episodi descritti dalla figlia Irene in un suo libro, si sviluppa con armonioso stile narrativo nel testo appassionato di Riccardo Diana, che della famosa scienziata mette a fuoco gli elementi di un’esistenza a più sfaccettature.

Non soltanto, quindi, il percorso di studi e scoperte che, dopo una giovinezza di privazioni e duro lavoro subalterno, la porta non soltanto a laurearsi alla Sorbonne a Parigi, ma anche a sposare un suo insegnante già famoso di cui  lei, polacca, prenderà il cognome, e a raggiungere in un sodalizione anche scientifico le scoperte sul radium e le sue proprietà che condurranno la coppia ad ottenere un primo Premio Nobel, e un altro successivo, lei soltanto, dopo la morte accidentale dell’amato marito.

Si intreccia al racconto delle scoperte scientifiche la vita privata  di Maria, con una accentuazione al tema dell’affermazione della donna nel campo universitario e sociale, che porterà la Curie addirittura in America, dove una intraprendente giornalista realizza una campagna di appoggio alle sue ricerche di laboratorio, consentendole ulteriori passi per nuove scoperte.

Il racconto si protrae fino al declino della scienziata, che passa anche attraverso pettegolezzi e denigrazioni – ormai vedova si concde per amante un assistente sposato e padre di famiglia, nonché più giovane di lei -, e descrive Maria via via più debole e malata – le conseguenze delle radiazioni -, ma determinata a proseguire sul cammino della scienza, senza voler sfruttare la sua incredibile scoperta – non vorrà brevettarla, per lasciarla a disposizione di quanti vorranno proseguire nelle ricerche – ; fino al momento della consegna alla figlia di un simbolico proseguimento al suo lavoro, il che avverrà puntualmente con ulteriori scoperte e un terzo Nobel assegnato alla ragazza.

Il clima in cui si svolge la vicenda è tenuto con uno stile di stampo realistico, in cui si inseriscono a tratti momenti gestuali di varia simbolicità. Le interpreti sono: Barbara Scoppa, una Maria compresa del suo personaggio e via via mutante negli anni; Carlotta Mangione e Camilla Diana, a cui va il compito, svolto con entusiasmo e perizia, di interpretare una moltitudine di personaggi utili allo svolgimento della vicenda, dalla sorella di Maria alla camerierina, dalle compagne di corso alle collaboratrici del laboratorio, fino alla figlia di lei e alla giornalista americana.

In questo affollarsi di personaggi, da cui è escluso l’intervento di una figura maschile,  pur evocata e tradotta in immagini fotografiche un po’ stridenti con la cifra gestuale allusiva, l’urgenza e la volontà di racconto si aggravano a volte di eccessi inutili rispetto all’assunto centrale, di Maria donna all’avanguardia come scienziata e figura di progresso femminile, pur essendo le due attrici abili nell’immedesimarsi trasformandosi nei vari personaggi. Una maggior sobrietà espressiva della regia potrebbe giovare al contesto, evitando balli e figurazioni e sventolii che rallentanto il ritmo narrativo.

Tutta la storia scorre suscitando interesse negli spettatori e offrendo spunti di moderna riflessione. Tuttavia ci domandiamo per quale motivo, tranne che per un puntuale desiderio di celebrazione, si è voluto evocare in scena, attesa da due amiche-collaoratrici, Maria Curie ormai divenuta polvere unita alla polvere del defunto marito e posta nel sacrario della Patria, che racconta a partire dalla sua adolescenza la storia della sua vita e delle sue scoperte. Un tale assunto stona con lo sviluppo della vicenda, che non richiama in scena fantasmi ma viene raccontata con estrema concretezza al pubblico, a cui Maria e le sue donne si rivolgono via via: perché un’evocazione mortuaria deve poi indirizzarsi agli spettatori? Basterebbe eliminare questo curioso inizio e la drammaturgia troverebbe un più accettabile equilibrio.