MORTE DI DANTON

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di Georg Büchner

traduzione Anita Raja

regia e scene Mario Martone

con Giuseppe Battiston e Paolo Pierobon

e

Fausto Cabra Giovanni calcagno Michelangelo Dialisi Roberto De Francesco

Francesco Di Leva Pietro Faiella Gianluigi Fogacci Iaia Forte Paolo Graziosi Ernesto Mahieux Paolo Mazzarelli Lino Musella Totò Onnis Carmine Paternoster

Irene Petris Mario Pirrello Maria Roveran Luciana Zazzera Roberto Zibetti

costumi Ursula Patzak

luci Pasquale Mari

suono Hubert Westkemper

Teatro stabile di Torino Teatro Nazionale

Roma, Teatro Argentina, 16 maggio 2017

Maricla Boggio

La possibilità di rappresentare un testo di così singolare portata poetica e politica, come “Morte di Danton” di Georg Büchner, riuscendo ad avere a disposizione i mezzi per rappresentarlo per intero, con tutti i personaggi e quanto converge su di essi come scenografie, costumi, suono e ampiezza di palcoscenico, tutto questo è stato capace con lucida intelligenza e capacità espressiva a realizzare Mario Martone, che del Teatro Stabile di Torino, che lo produce, è suo direttore. Tali possibilità, anche se rare, non vengono spesso, possedendole, utilizzate, a vantaggio invece di superficiali spettacolarizzazioni obbedienti a mode e divismi.

Qui Martone ha lavorato adempiendo a due diversi ordini di impegno, quello verso i doveri di un teatro pubblico al servizio culturale di una città, e quello di realizzare secondo la propria sensibilità un’opera di forte drammaturgia rispettandola in tutta la sua estensione, storica e poetica.

Lo ha messo in atto affrontando per intero, dall’alto dell’insieme, il testo e rendendolo scandito – e quindi facilmente recepibile nonostante la complessità degli argomenti e dei personaggi nelle loro differenti connotazioni politiche e umane – attraverso il susseguirsi di alcuni sipari di velluto rosso, simbolicamente espressivi del clima di sangue che quel periodo porta con sé. Il 1794 è l’anno decisivo per il declino e l’esecuzione di Danton e il trionfo effimero e poi presto tramontato anch’esso nel sangue del suo avversario Robespierre.

Che un giovane  tedesco dell’Assia, poco più che ventenne, in fuga per una rivolta politica fallita, nel 1835 scriva  in poche settimane questo immenso affresco sulla Rivoluzione Francese, delineandone, certo con qualche fantasia ma con significativa intuizione delle varie sfumature ideologiche e comportamentali di ciascuno, i personaggi e attraverso di essi, esprimendo la sua visione dei fatti, che da storici diventano emblematici, è un fatto singolare, forse unico, paragonabile a certi drammi storici di Shakespeare che aveva certo avuto maggior libertà, nei temi trattati, per la maggior distanza epocale in cui erano avvenuti, e avrebbe potuto maturare negli anni quanto il giovane genio tedesco ha dovuto contrarre in pochissimo tempo morendo a ventiquattro anni.

L’ansia con cui Büchner sviluppa il dramma ne mostra l’intima partecipazione, sia rispetto alla storia realmente accaduta, sia rispetto alle sue speranze, di un moderno cambiamento politico della sua terra. E chiaramente è Danton ad esprimerne la condivisione, in una dimensione pur rivoluzionaria ma dettata da una tolleranza verso le differenze di vedute, e ricca di una gioiosa partecipazione alla vita, che si manifesta talvolta in maniera disarmonica, tra l’affetto per la moglie e la propensione verso le prostitute, l’amicizia sincera per i compagni e un eccesso di lusso e spreco che lo rendono bersaglio di quanti prima, conoscendolo come uno di loro, lo avevano immaginato rappresentante di un cambiamento a vantaggio del popolo.

E’ invece Robespierre a ergersi come paladino della giustizia intollerante ad ogni concessione esistenziale. Nel lungo monologo che egli sviluppa per arrivare a convincere i membri del Tribunale della rivoluzione della colpevolezza di Danton, e nel successivo monologo di Saint Just che lo segue,  si intuiscono, nonostante il passaggio di più di due secoli da quel periodo e di quasi due dalla scrittura del testo, i segnali di una disumana considerazione della giustizia attraverso la spietata necessità di eliminare quanti con possano essere di un’altra idea rispetto a quei pochi che si arrogano la funzione di salvatori della patria. Principi che con molta analogia rispetto ad allora, ci portano all’ideologia nazista e a quella purtroppo attuale dell’Is.

Martone ha seguito ogni scena del testo, approfondendolo come se ciascuno fosse una drammaturgia completa; ha messo così in grado lo spettatore di seguire con intensità ogni momento del dramma, rinnovandone l’attenzione fino alla fine.

Si è concesso poche aggiunte di tipo personale che hanno arricchito con coerenza lo spettacolo, come l’inserimento di un bimbo in braccio a Lucilla, moglie di Camillo Desmoulin, votato anche lui alla decapitazione, come Danton e l’intero gruppo contrario a Robespierre, creando in queste scene di dolce amorevolezza il contrasto con la spietatezza del partito avversario. Così come, nella scena in cui la giovane Marion racconta a Danton la storia della sua fanciullezza caduta poi nella prostituzione, un casto bagno accompagna il racconto, che si sviluppa come bellissima battuta molto amata dalle ragazze in preparazione di un provino.

“Morte di Danton” è uno dei rari spettacoli della stagione a poter essere considerato degno di attenzione e ricordo. Peccato che la cautela dei teatri pubblici, che possiedono qualche mezzo per mettere in scena opere coraggiose, al di là di testi di così grande spessore, non incoraggino autori attuali a riflettere sulle nostre sorti, e a scriverne: mi riferisco proprio a quelle italiane, che forse sono ritenute pericolose ad essere affrontate davvero, e non attraverso generiche formulazioni riferite alla violenza.