NOTTURNO DI DONNA CON OSPITI

ruccello 2 IMG_6061

di Annibale Ruccello

con Giuliana De Sio

e

Gino Curcione, Rosaria De Cicco, Andrea De Venuti,

Francesco Di Leva, Luigi Iacuzio,

scene Roberto Ricci

costumi Teresa Acone

disegno luci Stefano Pirandello

musiche Carlo de Nonno

regia Enrico Maria Lamanna

Roma, Teatro Quirino 1-6 novembre 2016

Produzione Pietro Mezzasoma

 

Maricla Boggio

Sono passati trent’anni dalla morte di Annibale Ruccello, scomparso a trent’anni in un incidente d’auto. Eppure la sua drammaturgia risulta attuale, intatta e completa nella sua capacità di comunicare, oggi, il disagio dell’esistere in una società problematica.

Per questo testo, Ruccello parte dalla scelta di un luogo di periferia lontano dalla grande città, e vi mette a protagonista una giovane donna, costretta, per via di un marito che lavora di notte, a vivere ore di timore in una solitudine che in agguato ammanta presenze inquietanti.

Tutt’altro che realistici questo luogo e questa donna. Pur nel linguaggio strettamente dialettale, al limite, talvolta, della comprensibilità,  Giulia De Sio ha costruito, del personaggio di Adriana, l’emblema di un’eroina che tenta di sopravvivere in mezzo ai soprusi che con apparenze invitanti le arrivano da ogni parte. A cominciare da Michele, un marito che sembra tenere a lei, anche se vuol fare all’amore con modi spicci e perfino violenti, per continuare con i figli – due, e un terzo in arrivo – dei quali è ormai schiava, ligia al concetto che il suo compito, nella normalità di una vita che le hanno imposto fin da bambina, è quello di essere madre. E soprattutto a renderla succube della violenza altrui è una madre possessiva e dispotica che sotto l’aspetto affettivo la comanda privandola di ogni pur piccola libertà, mentre un padre defunto le ritorna alla mente con la nostalgia di un affetto vero, di cui lei non ha avvertito la sfumatura incestuosa.

Ci sono poi, nella vita di Adriana, gli strumenti della schiavitù dell’oggi, la radio, le canzoni, soprattutto la televisione, che assurge nel suo immaginario a divina presenza alla quale ambire anche solo avvicinandovisi attraverso un qualsiasi personaggio che abbia a che fare con essa.  Di conseguenza, in questo quadro di schiavitù ignorate e addirittura sentite come valori, Adriana manifesta la sua fragilità non appena dall’esterno le proviene – o immagina – qualche richiamo. Che il richiamo sia vero, di gente che si introduce nella sua casa, o di fantasia in quell’alternarsi di sonno e di veglia che ha dell’onirico magico e che Ruccello ha introdotto per aprire alla suggestione svincolandosi da ogni interpretazione realistica, poco importa. Via via nel corso di una serata che si protrae nella notte arrivano nella casa di Adriana prima Rosanna, un’antica compagna di scuola approdata a un’esistenza equivoca che con modi cafoni le si impone invadendole frigorifero, telefono e perfino il bagno per una doccia. Ben presto si aggiunge Arturo, il marito di questa Rosanna, un po’ chic medio-basso che incanta Adriana perché forse avrà un contratto in TV. In una progressione in cui l’uomo la costringe seducendola col miraggio di portarla a vederlo in televisione, Adriana si ubriaca di quel wisky mai prima assaggiato; si sfrena così ogni suo desiderio represso, fino ad accettare un amplesso appassionato da parte di Arturo, che soltanto l’arrivo improvviso del marito impedisce di essere portato a termine.

Gli ospiti vanno e vengono, litigano, si servono di quanto trovano di loro gradimento, Michele amoreggia con Rosanna finché non arriva il terzo ospite, Alessandro amante di Rosanna, che si scopre essere stato il primo amore di Adriana, che avrebbe voluto sposarlo – ne era anche rimasta incinta -, ma la madre che pretendeva per la figlia un matrimonio di maggior valore economico a veva mandato all’aria il progetto, imponendo ad Adriana di sposare un più solido guardiano notturno.

Tutto si svolge con una naturalezza che pare la cifra di una normalità di comportamenti che sottintendono invece una violenza pronta a scoppiare, mentre le azioni dall’apparenza reale sono alternate alle visioni di Adriana che si addentrano in un passato rimpianto – il padre giocoso – o un recente temuto – la madre sempre rimproverante e violenta. Realtà e immaginazione sono due facce di una stessa situazione mentale, dove la vittima è talvolta connivente talvolta succube, in una obnubilazione che pare allegria e invece è forse paura, disorientamento, tentativo di un sostegno in un ‘esistenza dove la normalità è un tremendo imbroglio. Finirà molto male, questa storia che presenta momenti di autentica sia pur grottesca allegria.  Andati via tutti, Adriana è di nuovo sola con le sue nevrosi. A trascinarla al gesto definitivo e non poi tanto imprevedibile – l’uccisione dei figli – è il ripresentarsi, più dispotica che mai, la madre, una madre castratrice a cui è impossibile sfuggire, una madre che la priverebbe anche dei figli usandoli come sua proprietà. Sarà Adriana allora  compiere quel gesto da Medea, non per vendicarsi del marito, ma per difendere i figli da una presenza che li sottrarrebbe a lei inserendoli nella girandola di una normalità distruttiva.

Ecco allora la sua apparizione in abito da sposa, che pareva un momento di consolante ricordo, e la muta invece in sanguinante assassina grondante il sangue dei bambini uccisi. L’interpretazione di Giuliana De Sio, in bilico fra realismo e allegoria, è superba. Attrice anche capace di recitare in napoletano, ha impresso al linguaggio di Ruccello cadenze di forte intensità che in italiano non avrebbero avuto lo stesso valore. E assai bene, sotto l’abile guida di Lamanna, anch’esso napoletano,  tutti gli interpreti nel gioco emblematico di Ruccello. Di cui ho tentato un rapido racconto, ma che vale non per quanto sviluppa la trama che per quanto suscita, momento dopo momento, in un’ansia autentica di sofferta consapevolezza dell’oggi.