PAPA’ SEI DI TROPPO

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di Yannis Hott

con Mario Mattia Giorgetti

Vincenzo Bocciarelli

regia Mario Mattia Giorgetti

Compagnia La Contemporanea –

Sipario – Fondazione Teatro Italiano Carlo Terron

Roma, Teatro Tordinona

 

Maricla Boggio

Con una filosofia che lo accompagna fin dagli inizi della sua carriera teatrale a più sfaccettature – critico, attore, regista, saggista, direttore di Sipario e altre attività ancora – Mario Mattia Giorgetti ha scelto di  mettere in scena, al Teatro Tordinona, un testo dalle molte sorprese. Giorgetti parte dalla riflessione che quanto scrive l’autore – Yannis Hott, un americano che vive in Italia e ne segue l’andamento socio-politico, con criteri morali – rappresenti l’emblematica realtà della società attuale, casualmente descritta come italiana, ma in un mondo global come il nostro sia da ascriversi al comportamento in genere di tutti i Paesi.

Si tratta di un consumismo finalizzato al godimento, che non consente più di sopravvivere dopo l’età  produttiva. Sono gli stessi figli a doversi occupare della morte dei propri genitori, indotti da uno Stato dispotico a superare ogni affettività per essere accettati dal nuovo regime, che pretende inoltre da parte dei giovani di generare almeno due figli per dare forze economicamente utili al sistema.

Il dialogo fra questo padre ormai in età e suo figlio che pur tentando di convincere il genitore a trovare una soluzione per la sua sparizione, sente in sé la ribellione a una legge ingiusta – moderno e maschile Antigone, che Vincenzo Bocciarelli interpreta con aderenze di forte realismo – e pur provando svariati mezzi per uccidere il padre, ogni volta recede dal tentativo proclamando infine il suo irrinunciabile amore per lui.

Nel dialogo serrato fra i due si inseriscono alcuni momenti in cui il padre esterna delle riflessioni, amaramente sentendo la gravità del momento e rimpiangendo di non avere più intorno a sé quegli amici che per tutta la vita lo avevano allietato con la loro presenza.

Gradualmente, quasi in sottotono, si profila una dimensione religiosa che investe il padre della persona di Cristo, mentre gli amici – dodici – di cui il vecchio ha evocato la presenza attraverso la collocazione di dodici sedie, classificati secondo gli ingenui vizi che li ha accompagnati per tutta la vita – dal “gratta e vinci” alla tombola, alle carte, alle corse dei cavalli e così via –  sono invitati a mangiare per un’ultima volta con l’ospite che li ha evocati. E il pane distribuito in ogni piatto è chiaro simbolo di cristianesimo, a cui si aggiunge, durante alcuni momenti di sofferta confessione, il vino che consolatoriamente il vecchio beve, in attesa della morte.

Sarà il figlio a trovare il padre ormai toccato da un morte naturale, liberandolo dal rimorso di averlo dovuto uccidere lui e in questa conclusione, che acqueta i protagonisti dal subire l’orrore di una legge di stampo nazista, lo spettacolo termina.

Mario Mattia Giorgetti ha dato una forte impronta da Vecchio Testamento al suo personaggio, arricchendo lo spettacolo con alcune introduzioni musicali di varia natura per simboleggiare diversi stadi emozionali, dalle canzoni struggenti o critiche alla classicità di Vivaldi o di Mozart. In questo sacrificio in cui Abramo e Isacco si sono in pratica scambiati i ruoli, essendo il figlio ad aver avuto l’ordine di uccidere il padre e non viceversa, non è apparso l’Angelo a fermare la mano omicida come prova dell’obbedienza a Dio, ma la carità della Natura che ha portato via con sé il vecchio filosofo.