QUESTI FANTASMI

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di Eduardo De Filippo

regia Marco Tullio Giordana

con Gianfelice Imparato, Carolina Rosi,

Nicola Di Pinto, Massimo De Matteo,

Paola Fulciniti, Giovanni Allocca,

Gianni Cannavaciuolo, Viola Forestiero,

Federica Altamura, Andrea Cioffi

scene e luci Gianni Carluccio

costumi Francesca Livia Sartori

musiche Andrea Farri

produzione Elledieffe – La Compagnia di Teatro di Luca De Filippo

Teatro Argentina, 18 dicembre 2018

Maricla Boggio

In bilico fra verità e finzione, Pasquale Lojacono incentra su di sé l’intera commedia, che pur è di parecchi personaggi. E va detto che Gianfelice Imparato ne ha delineato, con novità fedele alla tradizione, un carattere asciutto e scevro da compiacimenti, in uno stile nuovo su cui si potrà costruire un Eduardo da cui si traggano riflessioni ancora non emerse dai suoi testi.

Questo piccolo borghese, decaduto nella miseria, mantiene un tono di dignità signorile nel trattare con distacco il guardaporte del palazzo seicentesco in cui va ad abitare, e gli operai che stanno realizzando per lui il trasloco dei suoi mobili, e con spicciativa autorità si impone facendosi servire da tutti quanti, mentre “la sua signora” di nulla si occupa tranne che di sé stessa, da vera borghese benestante.

Già da queste premesse si capisce che Eduardo ha voluto prendere di mira le pretese di un ceto sociale nullafacente e pretenzioso. Il giudizio si conferma quando si delinea la situazione che ha indotto Pasquale Lojacono ad andare ad abitare nel vasto palazzo appena restaurato, gratis del tutto perché – secondo una credenza popolare invalsa da anni nel quartiere –  infestato dai fantasmi e quindi nella necessità di far sì che un coraggioso, andando ad abitarvi, sfati la credulità e lo riconsegni “ripulito” al proprietario.

Pare che Eduardo si sia ispirato a un episodio della vita di suo padre, Eduardo Scarpetta, che era andato ad abitare in una casa offertagli a prezzo ridottissimo, e ne avesse poi capito il motivo, determinato da una superstizione che le attribuiva la comparsa di fantasmi nelle stanze.

Ciò che interessa qui non è la storia in sé dei fantasmi abitatori del palazzo, quanto il fatto che Lojacono vi creda davvero o finga di crederci, una volta che, attraverso innumerevoli episodi, non ci potrebbero più essere dubbi che non si tratta di fantasmi, ma di una persona viva, e che questa persona soddisfi ogni sua più esigente richiesta per motivi facili da immaginare: fra Lojacono e sua moglie Maria non c’è più alcuno scambio di amore, ma nemmeno di cortese convivenza, e la donna ha trovato un ricco signore che, volendola per sé, riempie la casa di doni e lascia nelle tasche di una giacca del marito forti somme di denaro, che via via questi, confidando nella protezione del fantasma, va chiedendo di continuo.

Eduardo sviluppa un gioco a tre personaggi che tiene lo spettatore per tutta la commedia: le apparizioni improvvise di un essere che Lojacono crede un fantasma, i dialoghi fra il presunto fantasma e Maria, che lo ama pur non decidendosi ad andarsene dall’indifferente marito, e questo Lojacono sempre più intestardito nel credere che un fantasma lo abbia preso a benvolere.

Ma Lojacono, ci crede davvero, al fantasma? Non si accorge che la moglie non ha per lui alcun sentimento, anche solo di rispetto? Dobbiamo stare al gioco dell’autore: pensare che Lojacono, nel suo candore, sia in buona fede? o che abbia creato il personaggio di Lojacono così perfidamente finto da non offrire di sé la sia pur piccola sfumatura che faccia pensare a una finzione? Insomma, si tratta di un candido assoluto, oppure di un falso matricolato? Lo stesso attore che interpreta il personaggio – Gianfelice Imparato – se lo è chiesto, mentre andava impadronendosi del ruolo.

Dobbiamo immergerci nel cilma dell’epoca in cui Eduardo scrisse la commedia perché questa ambiguità sia accettabile. Il gioco riesce, e il divertimento persiste nonostante lo scorrere del tempo.

Va apprezzata la scelta da parte di Carolina Rosi  – una autorevole Maria – di continuare a tenere in vita una compagnia numerosa e affiatata, riunendo attori di antica tradizione – come Nicola Di Pinto che ottiene l’applauso nel monologo “saggio” del guardaporte –  – con giovani inseriti perfettamente nel clima di tradizione, come la delirante Armida di Paola Fulciniti  a capeggiare lo stuolo della sciagurata famiglia dell’amante, che il regista Marco Tullio Giordana con coraggioso scambio di stile induce a una recitazione caricaturale, fino a tutto il gruppo che ricopre i vari ruoli, accolti con applausi convinti da un pubblico finalmente divertito.